Se ci fossero più donne al lavoro le famiglie avrebbero più denari da spendere, farebbero più figli, consumerebbero di più e l’economia andrebbe meglio. Questo il succo di un’analisi pubblicata sul numero di aprile di Mark up, il mensile edito dal Gruppo 24 ore dedicato al commercio e ai consumi.
Da tempo gli economisti segnalano l’urgenza di allargare il numero delle donne lavoratrici per rilanciare l’economia. Eppure le cose faticano a cambiare. «Le giovani donne, più istruite degli uomini, flessibili, multitasking, portate al lavoro di “cura del prodotto”, responsabili, sono proprio quello che il mercato cerca (basta leggere un qualsiasi annuncio di stage/lavoro), quello stesso mercato che provvede poi, puntualmente, a discriminarle, a pagarle meno, a fargli firmare dimissioni in bianco, a respingerle quando sono in età da maternità» scrive Teresa Di Martino del gruppo “Diversamente occupate” alla vigilia della manifestazione dei precari del 9 aprile (ingenere.it).
Infatti sono più precarie le donne degli uomini, ricorda Bia Sarasini illustrando il Tema del numero di Leggendaria in libreria in questi giorni. E se il tasso di inattività femminile in Italia è particolarmente elevato (48,9 per cento) non va dimenticato che in alcune regioni l’occupazione femminile raggiunge e supera la media europea (56,1 in Lombardia; 61,5 in Emilia Romagna). Ed è proprio a partire dai luoghi dove c’è più occupazione femminile che si sta sviluppando un’elaborazione innovativa. «Voglio lavorare. A modo mio», titola Leggendaria.
Questa è la novità. «Il lavoro oggi non è un luogo simbolico da conquistare, piuttosto un territorio da gestire e rendere più simile a se stesse » scrive Sarasini. Cosa che tra l’altro può significare flessibilità dell’orario, part time, telelavoro, percorsi professionali individualizzati.
Questioni spiazzanti anche per il più radicale dei sindacalisti, come dimostra l’incontro avvenuto a Milano tra femministe e Maurizio Landini («Se si incontrano vita e lavoro», il manifesto, 10 aprile). «Come si fa a valorizzare la differenza quando il lavoro è al suo punto di massima svalorizzazione?» si chiede il segretario della Fiom.
Ma la differenza sbuca in ogni dove. Persino in una piccola notizia Ansa (8 aprile) che dà conto di uno studio condotto dall’Università di Toronto.
Secondo la ricerca canadese le donne, contattate dai propri superiori mentre sono in famiglia, vengono attanagliate dal senso di colpa. Cosa che agli uomini non succede. Secondo i ricercatori le donne «divise tra lavoro e famiglia cercano di dare il massimo su tutti i fronti e ogni invasione di campo viene vissuta con vergogna ».