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Pubblicità sessista: Comuni “censori”?

30 Novembre 2010
di Alberto Leiss

Ormai succede sempre più spesso che nelle occasioni di dibattito sulla violenza contro le donne, organizzate intorno al 25 novembre – giornata internazionale sul drammatico tema – vengano invitati a parlare uomini.
Non è una banalità.
Negli ultimi anni si è rotto quella sorta di invisibile recinto che teneva sostanzialmente nel silenzio lo scandalo e le dimensioni della violenza maschile contro le donne, e che soprattutto deresponsabilizzava quasi del tutto gli uomini. Le donne subiscono le violenze, e da sempre sono loro a occuparsi delle conseguenze, ad assistere le vittime, a organizzarsi per reagire.
Oggi qualcosa comincia a cambiare. Nel 2006, quando alcuni uomini, me compreso, hanno scritto e diffuso un testo che affermava chiaramente: la violenza contro le donne ci riguarda, è un problema nostro, di noi maschi che la esercitiamo, evidentemente è stata colta una tendenza.
Le dimensioni e le modalità di queste violenze diventano sempre più insopportabili. Ne è prova l’eco mediatica pressoché quotidiana. Sui giornali e in tv alcuni commentatori di sesso maschile se ne accorgono. Nei dibattiti pubblici intervengono amministratori locali, responsabili dell’ordine pubblico, gestori dei servizi.
E’ accaduto, il 25 novembre, anche alla Spezia (e in moltissimi altri luoghi: vedi il sito www.maschileplurale.it), per iniziativa delle donne dell’Udi. Mi è stato chiesto di intervenire, insieme a Barbara Mapelli. Hanno parlato, tra altri e altre, anche il sindaco della città e il questore.
E’ accaduto il 26 a Sanremo, dove una iniziativa mirata in particolare sull’uso volgare e offensivo del corpo femminile nei media e nella pubblicità è stata organizzata da un Coordinamento femminile della Provincia di Imperia che riunisce molte associazioni di donne. C’erano Monica Lanfranco e Raffaella Rognoni (che ha parlato di un questionario diffuso nell’Imperiese tra centinaia di donne e uomini sulla percezione del fenomeno): il dibattito a cui sono stato invitato era coordinato da Daniela Cassini, consigliera comunale, e titolare di una libreria molto accogliente e invitante nel centro storico di Sanremo (“Ipazia”) dove si mangia anche benissimo. L’antica e ampia sala della Federazione Operaia Sanremese (sì, non c’è solo l’Ariston…) era completamente piena. Molte donne ma anche diversi uomini, e anche alcuni uomini molto molto giovani.
Non farò un resoconto di discussioni comunque assai interessanti. Cito solo due degli aspetti affrontati, proprio per continuare a discutere.
Il primo è emerso alla Spezia. Il sindaco Federici ha, inevitabilmente, descritto il quadro disastroso in cui versano le finanze degli enti locali, sottoposti ai “tagli” della legge finanziaria nazionale che si abbattono su Regioni, Province e Comuni come non è mai sinora accaduto.
A farne le spese possono essere anche i finanziamenti – già troppo scarsi – indirizzati ai “centri antiviolenza” e in genere a quelle iniziative – tutte gestite volontariamente da donne – che cercano quotidianamente di affrontare il problema.
E’ giusto quindi tenere alta la pressione sul governo e sulle amministrazioni locali perché non si “taglino” risorse in questo campo di drammatica e costante emergenza.
Mi chiedo però se – in tempi di gravi strettezze e di perduranti disuguaglianze – non ci si dovrebbe rivolgere anche all’”iniziativa privata” per raccogliere fondi per una causa tanto giusta. Magari interpellando la “categoria” dei maschi ricchi. In fondo devono in qualche modo rendere conto di due condizioni forse sospette: essere uomini e essere ricchi.
Scherzo (un po’). Però mi ci ha fatto pensare la frase di un amico spezzino, sentito prima del dibattito: “Caro, non ce la faccio a venire, però sono d’accordo, fai benissimo. Posso fare qualcosa anch’io? Se serve sono pronto a sottoscrivere una somma…”. Già, perché no?
La seconda cosa è più complessa. Ho appreso – la cosa mi era sin qui sfuggita – che da qualche tempo l’Udi e altri gruppi di donne chiedono alle amministrazioni comunali di vietare l’affissione nei propri spazi di manifesti “sessisti”, con immagini che offendono la dignità delle donne. Ho letto che alcuni Comuni già stanno approvando delibere di questo tipo – per esempio a Genova – prevedendo l’istituzione di apposite commissioni di “esperti” per vagliare appunto il “sessismo” delle produzioni pubblicitarie.
Io sono molto, molto perplesso. E l’ho detto a Sanremo suscitando una discussione assai vivace.
Capisco benissimo, naturalmente, la reazione di sdegno e di insopportazione che certe immagini e certe frasi provocano nelle donne. E anch’io – e penso con me molti uomini – non sopporto tanta volgarità e anche spesso un linguaggio apertamente violento. A uscirne oltraggiato – a mio avviso – è il corpo femminile, ma anche un desiderio maschile ridotto alle sue manifestazioni più triviali (stavo per dire bestiali, ma che c’entrano le povere bestie?).
Però mi chiedo – e chiedo: siamo proprio sicuri, e sicure, che la via della repressione, della “censura”, sia quella giusta da seguire, per di più moltiplicando questa funzione in ogni italico Comune?
A Sanremo abbiamo visto un bellissimo video, intitolato “Se questa è una donna”, realizzato da giovani autrici e forse anche da un autore, con una critica molto acuta di queste immagini e l’evocazione di una sacrosanta rivolta. La realizzazione e la diffusione, sul web, su molti media, del documentario “Il corpo delle donne” di Lorella Zanardo – che ovviamente è stato molto citato – ha attivato una discussione e una reazione molto larga, soprattutto nelle scuole e tra ragazze e ragazzi, con la produzione di nuovi documenti.
Perché non chiedere alle amministrazioni locali piuttosto di “pubblicizzare” – con tutti i mezzi a disposizione: affissioni, siti, spazi sui media ecc. – questo tipo di produzioni critiche? Perché non lanciare, piuttosto, campagne di boicottaggio delle aziende che ricorrono a messaggi pubblicitari manifestamente sessisti?
Io temo che la soluzione: “vietateli, non voglio più vederli”, possa nascondere anche una negativa rimozione. Quei manifesti, quegli spettacoli tv, parlano degli esiti di miseria di una sessualità maschile che deve evidentemente sapersi ridefinire in un mondo nel quale le donne non accettano più, di fatto, l’antica indiscussa supremazia maschile. Parlano anche del fatto che molte donne stanno al gioco della mercificazione del proprio corpo.
Sono cose che ci riguardano tutti e tutte: troppo comodo eliminarle dalla nostra vista grazie a una procedura burocratica.
Spesso il confine tra bellezza, erotismo, volgarità, pornografia, seduzione, violenza è molto sottile. Su questo limite così radicale per le nostre esistenze, corporee e simboliche, c’è – per così dire – un’ ardua battaglia da combattere, dentro di noi, con altri e altre, tra donne, tra uomini, tra donne e uomini, soprattutto oggi in cui si è aperto un grande scandalo. E gli scandali sono opportuni, per cambiare le cose. Ma cambiarle sul serio.
A Sanremo mi ha colpito una frase scritta da alcuni studenti maschi e raccolta nel citato questionario: “la donna dovrebbe essere un’immagine di piacere e purezza, quindi vestita o no fa lo stesso…”. Le amiche che discutevano erano incerte sul senso da attribuire a questa affermazione. Anch’io lo sono, anche se propendo – per inevitabile solidarietà maschile? – a apprezzarla positivamente. Mi sembra comunque una incertezza da coltivare.

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