Domenica, un minuto dopo la mezzanotte, i giornali italiani stavano già impaginando le foto di Ruby senza il pixel sugli occhi: era diventata maggiorenne. Il giornale on line ilPost ha commentato sarcastico: “Ligi”. Fino a un attimo prima di Ruby erano state esibite in abbondanza e dovunque, tette, cosce, sedere, bocca. Non gli occhi: era minorenne, perbacco.
Qualche eccezione?
Sì, La Stampa. In coerenza con il “lenzuolo bianco” messo dal direttore, Mario Calabresi, sull’audio degli interrogatori di Avetrana (25 ottobre), il quotidiano torinese rinuncia alla fotogallery sul sito. Anna Masera spiega la decisione sul suo blog (lastampa.it, 28 ottobre). Tra i commenti c’è chi accusa la scelta di ipocrisia e chi plaude. Anche Il Giornale è stranamente pudico, ma per altre ragioni. Su Dagospia.com c’è la foto più osè, titolata “Fai bunga bunga con Ruby”.
Fabrizio Rondolino, su TheFrontpage.it, scrive: “Le persone perbene dovrebbero astenersi dall’assistere –non dico dal partecipare- all’ennesimo spogliarello in pubblico..”. Ma lo spogliarello piace, aumenta lettori e share, come il garage di Avetrana. E la stessa Ruby lo promuove. E’ su un quotidiano spietato nello spogliare in pubblico gli avversari politici, Il Fatto quotidiano, che si trova un ritratto umano della giovane Ruby. Lo dipinge Raffaella Nattero, l’educatrice che aveva seguito la ragazza nella comunità di Nervi (31 ottobre).
Negli stessi giorni, a Torino, si svolgeva un incontro su prostituzione e tratta promosso dall’Associazione Maschile plurale e in quel contesto l’avvocata Romana Villani si chiedeva: come mai per una donna che si prostituisce esistono molti nomi e per l’uomo che paga uno solo, “cliente”? Prostituta, puttana, escort, mignotta, bagascia, troia, lucciola per lei, e per lui quel sobrio e commerciale “cliente” (per non parlare dell’ “utilizzatore finale”) come chi compra un prodotto da un’azienda o in un supermercato. Ce ne parla Alberto Leiss su donnealtri.it, osservando che “una ridefinizione del desiderio maschile e delle sue rappresentazioni simboliche sembra ormai essere una sorta di emergenza e di priorità politica e civile”.
La lingua, come la cronaca, non è neutra. Esprime e riproduce cultura. Infatti non è un caso, ad esempio, che il femminile di alcuni animali, come vacca, troia, cagna, abbia assunto connotati dispregiativi; che suocera, strega, pescivendola siano diventati insulti; che la zitella sia sempre acida e lo scapolo affascinante. Lo scrive Marirì Martinengo in una lettera aperta rivolta al linguista Gianluigi Beccaria (libreriadelledonne.it) che ha scritto un pregevole libro sulla storia delle parole, dimenticando il passaggio del patriarcato.