Su Canale 5 ci sono le cugine di Sarah Scazzi e intanto scorre la scritta “Parlano le figlie dello zio orco”. Michele Misseri è “orco” su tutti i giornali e i telegiornali. La variante è “mostro”, (vedi Gianna Schelotto sul Corriere della sera, 9 ottobre). Oppure “vampiro”, come l’ha definitoVera Slepoj (Il Giornale, 9 ottobre). C’è da stupirsi se ad Avetrana c’è chi chiede la pena di morte? Ciò che conta è cancellare davanti alla tv l’orco-mostro-vampiro che infanga l’immagine del paese. Che, ovviamente, è sano, timoroso di Dio e rispettoso delle adolescenti inquiete.
La tv, appunto. Sulla “diretta della morte” (Angela Azzaro, glialtrionline.it) hanno scritto tutti. Alcuni acutamente, come Stefania Carini su questo giornale, Europa: “la tv ci ha aperto l’ennesima porta su qualcosa che non volevamo vedere”. Ma in ogni commento l’idea base è che tutto ciò oramai sia ineluttabile, come era ineluttabile per la madre di Sarah restare davanti alla telecamera e per Federica Sciarelli chiederle, senza convinzione, se voleva interrompere il collegamento. “Si è consumata in questi decenni una vera e propria trasformazione antropologica e cognitiva”, scrive Azzaro.
“Con le telecamere ormai accese 24 ore su 24, in una società organizzata attorno ai media, nella piena consapevolezza che ormai gli strumenti multimediali rappresentano il nuovo ambiente in cui viviamo, è inutile chiedersi se questo strazio collettivo in diretta andasse fermato o no. Da tempo viviamo nel post-Vermicino”, ha scritto Aldo Grasso sul sito del Corriere della sera il mattino dopo. E dunque che le foto del cadavere di Sarah all’obitorio arrivino su Facebook è solo una conseguenza. L’autogestione individuale della comunicazione non può infatti che dilatare il fenomeno, osserva Chiara Saraceno (Adnkronos, 11 ottobre).
D’altra parte i giornalisti, i conduttori tv, dice Carlo Freccero a Luca Telese, non sono mediatori né assistenti sociali, devono solo dare le notizie (Il Fatto quotidiano, 9 ottobre).
Ci si può chiedere però se è ineluttabile che le notizie ci comandino a bacchetta, che non ci sia libertà di scegliere. E’ obbligatorio insistere nello sfruttamento dell’acquiescenza televisiva dei familiari? Perché, ad esempio, fare titoli a scatola sulla violenza sessuale subita dal cadavere? Perché indugiare sull’orrore?
Se lo chiede, controcorrente, Ubaldo Casotto (Il Riformista, 9 ottobre). Conosciamo la risposta, anche se la mascheriamo di professionalità. L’ombra dell’ “orco” vive dentro di noi, donne e uomini, giornalisti e telespettatori.