Immaginiamo che una donna, per i motivi più diversi e assolutamente suoi, voglia interrompere la gravidanza e si rivolga al consultorio. Immaginiamo che invece di incontrare un medico, una psicologa o un assistente sociale trovi ad attenderla una rappresentante del movimento per la vita. E che soltanto dopo aver ascoltato il punto di vista etico e filosofico della militante di quella associazione, dopo aver firmato un documento di “dissenso informato” (una sorta di confessione) con cui riafferma la propria decisione di abortire e dopo che questo documento sia stato trasmesso al Consultorio familiare, possa avere accesso ai servizi del consultorio. Il tutto in tempi non prevedibili.
Tutto ciò viene chiamato “accoglienza” (Avvenire, 14 ottobre). Un incubo, non è vero? Un incubo che potrebbe diventare realtà nel Lazio se passasse la legge di riforma dei consultori voluta da Olimpia Tarzia, Presidente del Movimento per la vita, e sostenuta dalla maggioranza.
Illustra efficacemente questo percorso a ostacoli Luisa Canitano sul sito zeroviolenzadonne.it, ma l’informazione su questa legge fatica a emergere sulla stampa nazionale, nonostante la gravità della proposta che stravolge il senso stesso dei consultori pubblici. Su Europa ne ha scritto Federico Orlando l’8 ottobre e su Repubblica Mario Pirani il 19 ottobre. Per il resto qualche trafiletto in cronaca o poco più. Niente di paragonabile all’attenzione rivolta alle strampalate iniziative dei sindaci leghisti.
Il fatto che la legge Tarzia metta in mano i consultori alle associazioni che “eleggono a totem la famiglia fondata sul matrimonio” (Il Manifesto, 18 ottobre) e che considerano l’embrione un membro della famiglia a tutti gli effetti e che solo a loro garantisca finanziamenti, non è stata considerata finora una notizia “nazionale”.
Eppure Emma Bonino aveva avvertito che se passerà questa “riforma” la regione Lazio diventerà il banco di prova di ciò che avverrà in gran parte d’Italia. “Sono convinta –aveva dichiarato- che il convegno organizzato a luglio da Polverini, Formigoni e Cota dava l’avvio a questa stagione” (la Repubblica, Roma, 5 ottobre). Infatti la giunta lombarda aveva già approvato la primavera scorsa il Progetto Nasko che, come la legge Tarzia, prevede un fondo per le madri che rinunciano all’aborto.
Così a ogni donna povera, anche se decisa a proseguire la gravidanza, converrà fingere di chiedere l’aborto e poi ripensarci per ottenere 250 euro mensili (Gli Altri, 15 ottobre). Viviamo in una strana Italia, “triturata da un federalismo improvvisato”, scrive Pirani.