Sono venti anni, scrive Susanna Tamaro sul Corriere della Sera, che le donne sono diventate più cattive e le cronache riportano numerosi casi di madri che uccidono i propri figli, e spesso pongono termine dopo l’atroce atto anche alla loro vita.
Colpa degli anni Settanta, dei movimenti per la parità dei diritti tra donne e uomini che hanno cancellato la struttura classica della famiglia stravolgendo “i rapporti tradizionali tra uomini e donne”; dell’emancipazione della pillola che ha autodeterminato le donne liberandole dal rischio di gravidanze indesiderate e infine ha procurato come disastro finale la separazione del rapporto sessuale da quello sentimental-procreativo. Oggi il sesso impera, scrive Tamaro, è una ossessione e noi cadiamo “dalla balaustra del piacere” dimenticando Anna Karenina e Jane Eyre, eroine di amori immortali per trasformarci in mostri senza scrupoli dal tratto maschile e violento.
Senza spirito materno – anche quello delle donne che non procreano – il mondo è perduto: così le donne, ormai crudeli come gli uomini, non si fanno scrupolo di ammazzare i propri figli, magari poi nemmeno tanto desiderati.
Alcune notevoli penne abituate a trattare i temi delle donne e del femminismo si erano già premurate di rispondere a Tamaro quando dalle pagine dello stesso giornale aveva parlato di femminismo, continuando come facciamo da decenni a dire la nostra tra donne e con gli uomini. Dalle colonne di un giornale di grande tiratura e con la firma dell’autrice del milionario “Va’ dove ti porta il cuore” tutto prende un’aura di “importanza”popolare maggiore, visto che si arriva a tante e tanti utenti. Siamo dunque davanti a una nuova generazione di matricide?
E’ noto a tutto il mondo quello che l’emancipazione delle donne ha portato e sta portando, così come è noto il portato di sofferenza per il numero di donne vittime di violenza che non accenna a diminuire. E come riempie di pura preoccupazione sapere che cresce (cresce davvero o è solo più divulgato?) il numero delle madri che ammazzano i propri figli e poi spesso si privano a loro volta della vita. Se come dice Tamaro la maternità è l’essenza della vita, com’è che la distorsione di un istinto così potente (come le api che muoiono negli Stati Uniti, o le balene spiaggiate in Australia) non viene colto come un dato preoccupante e un disperato bisogno di aiuto? Cosa c’entra il mercato del sesso col trovarsi da sole di fronte all’impossibilità di far fronte fisicamente e psicologicamente di accadimento di un neonato o bambino, sapendo che decidendo di porre fine a quella vita si avrà di fronte l’abominio del mondo? Penso che in questo simulacro di Stato in cui viviamo ci sia piuttosto l’abbandono totale delle persone sofferenti a loro stesse (la mancanza di strutture, di reti pubbliche e sociali, di aiuti concreti): non credo si tratti di madri pentite di quello che hanno fatto, ma di madri che non ce la fanno a continuare. Dietro le loro storie ultime, ci sono di sicuro disagi, incertezze, fragilità emotive e psichiche e anche abbandoni.
Mescolare il mercato mediatico della sessualità con le cause profonde di un disagio che forse dovremmo cominciare a considerare un po’meno individuale e più collettivo, tocca tutte e tutti da vicino. Contrabbandare le libertà conquistate – anche il diritto di alcune di noi a non essere madri senza per ciò sentirsi inutili o crudeli -, i nostri no come un appiattimento ottuso sul modello della spietatezza maschile mi appare quanto meno superficiale. Le donne accolgono e fanno crescere la vita, scrive Tamaro. Ma solo se lo vogliono: possono essere buone e cattive, sempre se lo vogliono o sono poste in condizione di farlo. Non sarà sputando sui diritti acquisiti che porteremo a casa madri più serene.