L’altra faccia del dibattito sulle pensioni femminili è la disoccupazione. Quella delle donne italiane che, con la crisi, è aumentata molto più che nel resto di Europa. La disoccupazione maschile invece è inferiore a quella degli altri paesi europei. Metà delle nuove disoccupate sono nel Meridione e donne sono anche la maggioranza dei NEET (coloro che non studiano, non lavorano e vivono nella famiglia di origine).
“Lavoro sprecato”. Così lo definisce Alessandra Righi illustrando questi e altri dati allarmanti ricavati dall’ultimo Rapporto Istat sul sito InGenere.it . E non consola constatare che la famiglia italiana stia rappresentando l’ammortizzatore fondamentale nella crisi. Fino a quando, infatti, potranno resistere le famiglie monoreddito?
Paola Profeta e Alessandra Casarico, due giovani economiste bocconiane, pensano che bisognerebbe investire negli stimoli al lavoro femminile i risparmi ottenuti dall’innalzamento dell’età pensionabile (Corriere della sera, 8 giugno).
Se andiamo dall’altra parte del Mediterraneo possiamo ascoltare una canzone che dice: “Ragazze, lasciate perdere l’università e il lavoro, la vostra occupazione è amarmi, siate il presidente della repubblica del mio cuore”. E’ la voce del musicista libanese Mohamad Iskandar. Per protestare contro questo messaggio canoro in Libano e in Siria molte donne si sono mobilitate. A Beirut hanno fatto una manifestazione. Ma il disco è in testa a tutte le classifiche (Franco Venturini, Io donna).
Già nel passato Muhammad aveva suscitato polemiche cantando: “Sono io che ti proteggo, sono io che ti guardo…Non provare a rispondere al telefono se io non sono al tuo fianco”( milleeunadonna.blogspot.com ).
Torniamo in Europa. In Francia sta per essere approvata una legge che impone una quota minima di donne (20% entro tre anni, 40 dopo sei) nei consigli di amministrazione delle 650 società quotate. “Cherchez la femme”, un nuovo businnes per le aziende di “cacciatori di teste” in cerca affannosa di manager di sesso femminile: entro il 2015 ne servono circa 1400 (Il Sole 24 ore, 4 giugno).
In America, dove le ragazze sono oramai il 57 per cento dei laureati e di conseguenza (anche se non in proporzione) aumentano le donne nei posti di comando, si assiste -scrive Federico Rampini su D, la Repubblica delle donne– a un fenomeno preoccupante di “regressione socio-culturale del maschio americano”. Diminuiscono i maschi all’università, quindi, “se l’America vuole arrestare il declino di qualità della sua forza lavoro rispetto ai concorrenti asiatici, dovrà affrontare la questione maschile sui banchi di scuola”.