Non voglio qui descrivere l’opera (il MAXXI) né parlare dell’autrice (Zhaa Adid) di cui sicuramente avrete letto su tutti i giornali a proposito dell’inaugurazione temporanea del museo (hanno promesso l’apertura ufficiale per il 30 maggio), ma leggendo l’articolo di Lia Cigarini sull’ultimo numero di “Via Dogana“, mi sono tornate alla mente le immagini e le sensazioni del museo, quando parla del “ cambiare l’immagine del cambiamento “.
Ecco per me un esempio di quel “ cambiamento”. Lo spazio realizzato è totalmente nuovo: non solo perché nella nostra percezione la perdita dei riferimenti delle linee verticali e orizzontali produce uno spaesamento, ma anche perché rimette in discussione l’idea stessa di luogo chiuso, l’idea di contenitore, di involucro e di spazio statico. L’abbandono degli assi cartesiani era già avvenuta con altri spazi e altri autori.
Penso a Gehry , a Liebeskind e anche alla caserma dei pompieri di Vitra di Zhaa Hadid stessa, ma qui interagisce più intensamente con il corpo, non si tratta infatti solo di immagini che si stampano sulla nostra retina, come in una TAC, quando si procede, ma coinvolge il corpo che si sposta nello spazio, man mano che si va avanti ci si sente più leggeri o più pesanti, più veloci o più lenti grazie alla combinazione delle varie inclinazioni del suolo e delle pareti, del soffitto, della luce naturale o del cielo. Tutto ciò si percepisce in maniera fluida.
La fluidità è la caratteristica principale degli spazi. Non si tratta più di un contenitore chiuso, di un riparo, come è l’idea archetipica dello spazio interno, ma qui le improvvise aperture verso l’esterno e verso il cielo lo rendono inusuale. Il contenitore è infatti realizzato per contenere opere di arte contemporanea : video, immagini, performances, che difficilmente si adatterebbero dentro delle scatole.
Che cosa inoltre mi colpisce in questa opera?
I disegni iniziali; l’autrice infatti inizia ogni progetto realizzando quadri con mille colori, immagini astratte e personalissime che saranno poi le linee guida della progettazione; affronta lo spazio vuoto esprimendo sensazioni, emozioni senza alcun riferimento costruttivo: prima indaga su di sé, lavora per dar luogo alle immagini che le suggerisce il tema, poi seleziona, sfronda, modifica, realizza le compatibilità con le funzioni, le cerca, le trova, ma aggiungendo qualche cosa in più che viene dal partire da se.
Non so quanto l’autrice sia consapevole del suo agire” politico,” ma sicuramente con questo metodo dà corpo al cambiamento e realizza immagini nuove che entreranno a far parte del nostro patrimonio di percezioni e sensazioni.