Sono molti anni che mi pongo sempre la stessa domanda: dal momento che gli uomini non sono tutti stupratori, ma gli stupratori sono sempre uomini, come mai nessuno (tranne le cosiddette “femministe“) ha provato a abbozzare una risposta?
Come mai nessuno, tra i politici, i pensatori, gli studiosi di diritto, si pone questo problema che ha a che fare, diciamo, con un segno maschile?
Le polemiche seguite all’affermazione del professor Ignazio Marino sul presunto stupratore seriale, coordinatore di un circolo del Pd, non si sono discostate da un argomentare sulla “questione morale“ o, per quanto riguarda gli altri dirigenti di quel partito, dalla difesa del buon nome del Pd. Mentre il leghista Calderoli riproponeva la castrazione chimica.
Scrive una grande antropologa (Francoise Héritier): “La violenza carnale è solo l’aspetto più vistoso di una brutalità ordinaria che le donne subiscono quotidianamente. Nasce dal dominio che l’uomo ha consolidato storicamente. Una asimmetria antichissima, così solidamente ancorata nelle mentalità, da apparire immodificabile. Innestata da secoli sulla differenza dei sessi, questa asimmetria produce ingiustizia, si trasforma in disvalore, inferiorizzazione, debolezza femminile e contemporaneamente, in superiorità, forza, privilegio“ .
Sia chiaro: non voglio che mi si accusi di una lettura manichea o di una riduzione di tutti i “maschi“ a carnefici. Non mi piacciono le autoflagellazioni e però sarebbe importante che si discutesse anche di soggetti in carne e ossa: le donne, gli uomini. La sessualità, la vita, i desideri e i bisogni delle une e degli altri.
Dal quadro tratteggiato dalla Héritier molte cose sono cambiate. Le donne, pur tra mille fatiche, sono padrone di se stesse.
E sono cambiate da quando un gruppo di femministe, con “Processo per stupro“, prodotto nel 1979, per la prima volta affrontò il tema della matrice maschile della violenza davanti a un pubblico di nove milioni di telespettatori.
Il 1975 era stato l’anno del “delitto del Circeo“. Tre pariolini di estrema destra (se ne sentirà parlare ancora in tempi recenti) massacrarono due ragazze di borgata. La provenienza sociale degli assassini e la loro collocazione nei gruppi fascisti portò a un’equazione, prontamente accettata dalla sinistra: chi stupra è – non può che essere – un fascista.
Invece no. Chi stupra non è fascista o comunista. Non è neppure un animale perché, per quanto ne so, in natura gli animali non stuprano.
La violenza ha un carattere sessuato, eppure molti e molte tendono a rimuovere questo dato e ad affidarsi esclusivamente allo strumento della legge. Emblematica la quasi ventennale discussione sulle proposte legislative contro la violenza sessuale, raccontata dall’amica, recentemente scomparsa, Roberta Tatafiore nel suo “De bello fallico“.
Emblematico nella manutenzione delle nostre vite femminili, quel modo guardingo che tutte conosciamo quando, di sera, prestiamo attenzione al rumore dei passi dietro di noi, oppure evitiamo le zone buie e ci batte il cuore se un gruppo di maschi (che poi si rivelano magari assolutamente mansueti) sbucano dal buio. A guidarci, appunto, è un principio di precauzione.
Sappiamo, d’istinto, che il nostro tornare dal lavoro o da una cena con amici, il nostro muoverci da sole può apparire a qualcuno una umiliazione, anzi, una sorta di tradimento. E trasformarci in corpi in balia dell’orrore.
Tempo fa uomini di buona volontà hanno scritto che “La violenza sulle donne ci riguarda“. Si trattava di una assunzione di responsabilità, nel tentativo di tirarsi fuori dal coro che attribuisce lo stupro ora alla povertà, ora alla patologia, ora alla immigrazione, ora alla pubblicità (nella sua spinta al consumismo e al possesso). Un coro che però tace del rapporto tra sessualità maschile e violenza.
Pensiamo a quanti adolescenti vedono nella compagna di classe solo un corpo da possedere e si accusano reciprocamente di omosessualità e non sanno cosa sia l’accoglienza per gli stranieri, l’aiuto ai più piccoli, agli indifesi, ai ragazzi con un handicap. Giovani maschi si producono in episodi di bullismo, bravate, violenze, video porno soft su YouTube: fenomeni che, secondo il Censis (Rapporto del 2008) riguarderebbero il 50 % delle classi scolastiche.
Il 20 giugno del 2008, è stata approvata all’unanimità dal Consiglio di sicurezza dell’Onu la risoluzione 1820, sponsorizzata da oltre 30 paesi, tra i quali l’Italia. Classifica lo stupro arma di guerra. In questo messaggio simbolico che condanna lo stupro etnico inatteso è proprio l’aver colto il legame tra violenza contro la donna e umiliazione sessuale inflitta, attraverso il suo corpo, al nemico.
Forse, ragionare di tutto questo, spingerebbe a misurarsi con una cultura – quella delle donne – che si è sempre confrontata con i temi della sessualità senza aggrapparsi alle ideologie o peggio, alle strumentalizzazioni. Ci sono uomini che violentano le donne e questa è la sostanza. Perché non discutiamo di questo?