“Too Posh tu Push”, troppo chic per spingere: così qualche anno fa la stampa inglese e americana commentava il costume di alcune donne del jet set (Victoria Beckam in testa) di sfuggire al dolore e all’ansia del travaglio partorendo con il taglio cesareo. Oggi non solo le donne più Vip scelgono questa modalità. La clinica Mater Dei di Roma, (quartiere Parioli, ricoveri solo a pagamento), vanta un record: l’84,4 per cento dei bambini, quasi 9 su 10, vengono al mondo con il bisturi (Corriere della sera, 9 gennaio). La media nazionale è del 39 per cento, con tassi più alti al Sud, dove imperano le cliniche private (Il Messaggero, 18 gennaio).
La paura del dolore da parte delle donne si allea con la comodità e la paura dei medici per le conseguenze penali di eventuali complicazioni nel parto naturale. Anche negli Stati Uniti si registra un’impennata dei parti cesarei, anticipati rispetto al termine naturale della gravidanza. Secondo una ricerca dell’Università dell’Alabama su oltre 12 mila casi, è in crescita il numero delle madri che anticipano il parto anche di un mese e mezzo, mettendo a rischio la salute del bambino. Il fenomeno viene spiegato con la mancanza di tutele sociali della maternità che negli Usa obbliga le donne a lavorare fino all’ultimo. Anticipando il parto con il cesareo si ottiene che, al prezzo di un’operazione di solito compresa nelle normali polizze mediche, e di un ricovero di pochi giorni, si possa tornare la lavoro rapidamente senza il rischio di perdere il posto (www.julienews.it ).
I ginecologi intervistati da Margherita De Bac sul Corriere della sera ritengono la tendenza inarrestabile e prevedono che tra dieci anni quasi tutte le donne partoriranno in sala operatoria. Dobbiamo rallegrarcene? Ne dubita Ritanna Armeni (Il Riformista, 20 gennaio). Non rischiamo infatti di perdere qualcosa? Di rinunciare a una funzione del nostro corpo, “cioè a una parte di noi stesse”? Ci sono però notizie in contro-tendenza: nelle cliniche ostetriche di Milano si registra un aumento dei parti naturali. Probabilmente grazie all’offerta sempre più ampia dell’anestesia epidurale. E al fatto che, per contenere l’avidità dei medici, le tariffe di rimborso dei parti cesarei sono state equiparate a quelle dei parti naturali (Corriere della sera, 15 gennaio).
Un parto cesareo molto particolare è quello raccontato dal giornalista Safwat al-Khalout, corrispondente dell’Ansa da Gaza. Il suo sesto figlio è nato sotto le bombe in un piccolo ospedale. Sta bene ed è stato chiamato Mohammed. Subito soprannominato Abu Harbi, che vuol dire “guerriero” (Ansa, 16 gennaio).