Ultimamente su questo sito hanno scritto di donne e pensioni sia Monica Luongo che Letizia Paolozzi. Io mi sono ritrovata nelle riflessioni di Monica Luongo che dice: “Sono a favore di una riforma delle pensioni che estenda l’età pensionabile delle donne a 65 purché ‘blindata’ all’interno di un pacchetto serio di riforme” , e, pur rispettando e condividendo, per certi versi, le giuste osservazioni di Letizia Paolozzi sulla trappola dell’uguaglianza che potrebbe essere sottesa da una tale riforma per le donne, vorrei aggiungere il mio punto di vista e vorrei riprendere la discussione sulla proposta del Ministro Brunetta di equiparare, innalzandola, l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini per ottemperare ad una sentenza della Corte Europea di Giustizia.
In realtà, la prima obiezione che, da donne, viene alla mente di fronte a questa proposta è: già lavoriamo senza tregua dentro e fuori casa e facciamo i salti mortali per conciliare tutto, ed in più vogliono farci andare in pensione più tardi?.
Io credo però che, in casi come questi, l’arrabbiatura dei primi 10 secondi debba essere mitigata da una riflessione a freddo e cercando di mettere sul tavolo tutte le opzioni possibili.
Punto primo: andare in pensione prima, ritengono i giudici lussemburghesi, con la lungimiranza di chi parte dal presupposto di una reale parità di trattamento tra uomini e donne, “non compensa gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici donne e non le aiuta nella loro vita professionale né pone rimedio ai problemi che possono incontrare nella loro vita professionale”. E questa è una bella motivazione per farci riflettere su come le carriere lavorative delle donne siano in qualche modo ostacolate e su come lo stesso ingresso delle donne nel mondo del lavoro incontri grossissime difficoltà, per cui, molto spesso, iniziamo a lavorare dopo i nostri colleghi uomini.
Punto secondo: andare in pensione prima, per le donne, significa spesso andare in pensione con assegni significativamente ridotti rispetto a quelli dei coetanei maschi, a causa, appunto, di carriere più corte, (quindi salari più bassi) dovute non solo alle discriminazioni sul mercato del lavoro, ma ad una divisione del lavoro familiare poco equilibrata e con pochi sostegni da parte dei servizi che in Italia sono carenti come in nessun altro paese europeo! Le donne che vanno in pensione presto, perciò, di solito hanno assegni molto bassi, perché hanno accumulato pochi anni di contributi. Questo le espone ad un rischio elevato di povertà, (soprattutto tenendo conto che le prospettive di vita delle “pensionande” sono molto lunghe, circa 25 anni).
Non a caso l’incidenza della povertà tra le donne anziane che vivono sole è più alta della media.
Punto terzo: spesso la motivazione implicita sottesa al sostenere l’età più bassa alla pensione della popolazione femminile non rappresenta una compensazione tardiva della discriminazione e del doppio lavoro fatto da molte donne per buona parte della vita adulta, ma la necessità di avere persone disponibili a soddisfare le necessità di cura che non possono essere coperte dai servizi mancanti!
Queste donne che vanno in pensione prima, infatti, sono “utilizzate” come nonne di nipotini i cui genitori lavorano entrambi, come figlie e nuore di anziani fragili, come mogli di uomini spesso più vecchi di loro, bisognosi, tutti in diversa misura, di una qualche forma di sostegno, e quindi come continue dispensatrici, ancora, di lavoro. Lavoro di cura: non retribuito, non riconosciuto dallo Stato e quindi non pensionabile!
Mandare le donne in pensione presto e pagare loro una pensione tanto a lungo (proprio in considerazione dell’alta aspettativa di vita), pesa fortemente, tra l’altro, sul bilancio pubblico, già abbastanza gravato. Non sfugge certo che la motivazione che spinge in realtà il Ministro Brunetta nella sua proposta non risiede nella nobile intenzione di parificare le condizioni di uomini e donne! Ed il pretesto della sentenza europea è appunto un pretesto per “fare cassa”, cosa che, questa sì, ci indigna e non poco!
Ma la considerazione di una proposta del genere, come giustamente hanno colto le On. Vittoria Franco, Emma Bonino e Roberta Pinotti (che a livello locale è stata la prima a sottoporlo come tema), non può essere bollata solo come irricevibile, ma può rappresentare un’occasione di “mediazione politica” che non ci si può far sfuggire.
L’apertura “condizionata” a questo progetto non significa certo, come hanno voluto ritenere alcuni, accettarla supinamente, ma il pretesto per riuscire ad ottenere una contropartita nel segno di una vera dimostrazione, da parte di questo Governo, che si desidera perseguire una reale politica di parità. E’ una sfida politica, tutta a favore delle donne.
Il PD ha depositato un progetto di legge che prevede misure per promuovere l’occupazione femminile e favorire la conciliazione fra lavoro, maternità e carriera.
Sosteniamo la proposta Brunetta sulla equiparazione dell’età pensionabile a condizione che lui sostenga il nostro progetto di legge.
In Italia esiste già un vasto movimento di opinione bipartisan che si batte da tempo per equiparare l`età pensionabile di uomini e donne, garantendo però alle donne, con i soldi risparmiati, tutti quei servizi e sostegni quali asili nido, assistenza agli anziani, congedi di paternità obbligatori, agevolazioni fiscali per le donne che lavorano.
Questo vogliamo noi che, su questa proposta possiamo essere disposte/i a metterci intorno ad un tavolo.
La palla passa ora al Ministro Brunetta. Ci dia qualche segnale che ci consenta di avere fiducia e per non pensare che questo Governo voglia di nuovo intrappolare le donne in una ulteriore discriminazione: più povere, più oberate di cura e pure in pensione più tardi.
Nadia Carì ([email protected])
Componente dell’Assemblea e della Direzione Provinciale del PD Genovese.