Dopo dieci anni di lavoro politico l’associazione Emily si è sciolta il 21 novembre. Le sedi locali che lo vorranno continueranno il percorso iniziato anni addietro. Adesso chi ha fatto parte di Emily nuota in mare aperto, con un interrogativo di fondo: le donne che hanno voglia di vincere, possono stare a proprio agio nelle istituzioni e nella rappresentanza? Su tutto questo si interroga la presidente nazionale Franca Chiaromonte della quale pubblichiamo la relazione
A dieci anni dalla nascita di Emily ci troviamo qui per festeggiarla e festeggiarci, ma soprattutto per decidere cosa fare, come farlo, per tirare un bilancio politico appassionato e alla ricerca della verità come tutta la storia di questa rete associativa ha tentato caparbiamente di fare.
Voi tutte, tra le quali mi piace ricordare anche Giglia Tedesco, sapete quanto io consideri importante la strada che abbiamo sin qui percorso, talmente importante da ritenere di non poterci permettere di percorrere vie sbrigative o autoconsolatorie.
Questi dieci anni sono stati lunghi e intensi, ma sono stati dieci anni in cui molto è cambiato, nel sistema politico del nostro paese e in alcuni casi fortunatamente, non solo.
Come si fa oggi, mentre ci accingiamo a discutere di noi, a mettere in cantina l’attualità politica che anche solo questo anno ci consegna?
Il terremoto politico e simbolico che hanno provocato le elezioni americane, a volte troppo enfatizzato da non essere guardato in tutto il suo spessore, aprono indubbiamente per la politica italiana nuovi punti di riferimento che però non ci devono mai indurre a tentativi di inesatte similitudini tra ‘noi’ e ‘loro’, tra democrazie diverse che probabilmente dovrebbero imparare a guardarsi con più attenzione.
Sembra impensabile nel nostro paese affrontare delicati temi etici senza scottarsi, senza cercare quegli elementi di incontro tra diversi punti di vista culturali evitando che si trasformino in umiliazione dell’una e dell’altra parte. Anche la candidatura e la campagna elettorale di Hillary Clinton o quella della sua antagonista Palin impongono a noi donne di Emily e a tutte le donne impegnate nella vita politica un momento di riflessione.
La candidatura di Hillary Clinton si è poggiata su un elettorato femminile consapevole, impegnato nella ricerca di una sua rappresentanza e che ha efficacemente esercitato un ruolo di pressione su entrambi i partiti. L’elettorato femminile in America si è organizzato intorno a figure femminili forti. Il risultato è che oggi Hillary Clinton, dopo aver riconosciuto la scelta delle primarie, è Segretario di stato accanto al presidente americano Barack Obama.
Nel caso del partito democratico pur sfumata la candidatura Clinton, questo gruppo di pressione ha mantenuto la sua coesione, imponendo anche al candidato Obama di non perdere mai di vista i temi cari alle donne, di continuare la campagna elettorale facendo sempre attenzione a non disperdere quei voti che, infatti, insieme a quelli dei latinos, dei neri, dei bianchi che non andavano più a votare e dei giovani, sono stati fondamentali alla sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti.
Il voto organizzato delle donne esiste.
Esiste un elettorato femminile disponibile a votare candidature femminili purchè queste rivendichino con forza la propria appartenenza, posso dire senza enfasi, appartenenza di genere. Ma torniamo ancora all’oggi al difficile contesto politico e sociale che dobbiamo affrontare. Resta ancora non del tutto prevedibile l’impatto sociale su milioni di donne e di uomini che la crisi finanziaria ed economica provocherà nei diversi stati. Eppure, nonostante le rassicurazioni che un giorno sì e l’altro pure il governo Berlusconi tenta di dare alle famiglie italiane noi sappiamo che questa crisi sarà lunga, che alla crisi finanziaria seguirà la crisi sociale, disoccupazione, crollo del potere d’acquisto e politiche economiche che tenderanno a colpire soprattutto lo stato sociale per recuperarne i costi.
Ed ecco che ancora una volta saranno le donne a pagare il prezzo più alto e che noi ci troveremo costrette a difendere i diritti acquisiti invece di avanzare nuove richieste sociali e politiche. E su questo punto, noi donne dovremmo finalmente dire che questa crisi economica e politica ha i suoi responsabili e questi responsabili non sono altro che i componenti di questa larga classe dirigente maschile che fino alla fine ha caparbiamente rivendicato il diritto di decidere per tutti e per tutte e che ancora una volta si candida a gestire questa fase di passaggio senza cedere una virgola del suo potere, senza assumersi la responsabilità di nulla e questo sia a destra che a sinistra.
Eppure anche in Europa qualche esempio che esistono donne in grado di parlare con autorevolezza e di decidere anche sull’economia ce ne sono, basta pensare alla Cancelliera tedesca Angela Merkel e a tutto il suo operato sin dall’inizio del suo mandato.
Ma torniamo al sistema politico italiano. Anche qui da quando Emily è nata molte cose sono cambiate, innanzitutto il sistema della rappresentanza che ha visto il sistema elettorale del Paese muoversi in modo sempre più deciso, verso il maggioritario (che mi piacerebbe applicato anche per i sistemi elettorali locali), verso quella logica dell’alternanza che è garanzia di una democrazia pulita e limpida. Non è stato un percorso facile, questo, nel Paese, eppure noi, nella consapevolezza delle difficoltà italiane, lo abbiamo sostenuto per dieci anni. Sosteniamo da dieci anni la tendenza a creare blocchi politici più omogenei, il cui frutto è tra l’altro la nascita del partito democratico.
Anche la scelta delle primarie per eleggere il segretario del partito consegna a noi donne un altro punto di discussione, ci costringe a discutere ancora una volta del tema della rappresentanza e della partecipazione, oltre che ad averci allora imposto una scelta sul candidato o la candidata. Ma anche su questo permettetemi di tornare tra poco poiché è un punto troppo importante e che ci ha diviso.
Torniamo a noi e alla storia di questi dieci anni, dieci anni bellissimi, intensi, fruttuosi, a volte difficili ma sempre vissuti con quella passione politica che solo le donne riescono a trasmettere nelle cose che fanno.
Nel 1998 quando abbiamo fondato l’associazione probabilmente nessuna di noi avrebbe mai pensato che saremmo arrivate fino a qui. Abbiamo tentato sempre, in tutti i luoghi in Italia dove Emily è presente, di essere un luogo aperto a tutte le donne del centrosinistra. Lo dico senza trattino, perché mi piace pensare che questo ‘periodaccio’ sia solo passeggero e che domani come ieri, noi donne possiamo dimostrare di essere un collante per le diverse anime della sinistra italiana. Le donne che hanno fatto parte di EMILY, quelle che purtroppo ci hanno lasciato durante questo percorso e quelle che ci saranno.
Perché, innanzitutto Emily è stato un luogo di incontro di esperienze individuali, di singole passioni che pur lontane tra loro hanno avviato e costruito una strada comune.
Emily è il luogo dove far vivere il conflitto tra uomini e donne, dove si è materializzato il conflitto tra il partito e la presenza delle donne al suo interno (ve lo ricordate Angius o De Mita?), ma soprattutto Emily è stato il luogo dove si è messa al centro della nostra politica la formazione delle donne. Il creare e dare strumenti politici e culturali alle donne che intendono partecipare attivamente alla vita politica o anche solo sostenere tutte coloro che hanno voluto metterci la faccia è stato sempre il nostro riferimento.
Credo che questo siamo riuscite a farlo tutte insieme, grazie alla caparbietà e, continuo non a caso ad usare questo termine, grazie alla passione di tutte quelle donne che a livello locale ed anche in situazioni difficili hanno creato le basi di questa associazione.
Il risultato di questa caparbietà e di questa passione è che tutte le iniziative politiche e culturali che abbiamo messo in campo le abbiamo organizzate esclusivamente grazie all’autofinanziamento, una scelta politica coraggiosa e autonoma, volutamente distante da quella maschile, libera da condizionamenti e da pressioni. Da noi per tutte, un circuito virtuoso e di condivisione che ci ha permesso di esserci anche in iniziative legate alle esigenze delle città e delle donne che le popolano.
“Quando le regole sono chiare le donne vincono”.
Uno slogan, inserito anche nel nostro Manifesto al quale abbiamo lavorato insieme assiduamente, che si è ben presto trasformato in un modo di pensare e di agire per la nostra associazione, lo stesso che ci ha fatto scegliere l’importante passo della lista Emily alle provinciali di Napoli del 2004.
Quella della lista è stata davvero una scelta importante sia da un punto di vista politico che umano ed emotivo.
Ricorderanno le tante di voi presenti oggi, la fatica, lo stress, le divisioni anche in seno alla propria famiglia politica, e non, per portare avanti questo progetto. Non quote rosa ma lista di donne, indubbiamente una rottura dalle impostazioni passate, un azzardo politico spesso rimasto incompreso e contestato dagli uomini dei nostri, allora, stessi partiti. Le stesse donne che a quella lista hanno partecipato, che l’hanno sostenuta, che ci hanno creduto le ritrovo qui oggi, in questa sala, con quella stessa passione e determinazione. Mi emoziona pensare che insieme abbiamo fatto tutto questo, che quella lista ha ottenuto ben il 2 per cento dei voti e che invece di portare via voti al centrosinistra -come in tanti ci dicevano- ne ha portati altri e sicuramente delle tante donne che altrimenti non avrebbero neppure votato.
Mi emoziona pensare che oggi se questa esperienza l’avessimo ripetuta qui come in altre province e comuni, avremmo ottenuto ancora di più, e non solo nella percentuale dei voti, ma nella qualità della partecipazione e della nostra presenza.
Ma purtroppo l’esperienza napoletana è rimasta un caso, non abbiamo avuto la forza di continuare a crederci e a credere in questo percorso.
Dico questo perché mi capita di pensare ora, in questi giorni di fronte alle difficoltà politiche e di rappresentanza del centrosinistra nella sua totalità, di fronte ad un partito democratico che non decolla, di fronte ad una sinistra ormai frantumata che è stata tagliata fuori dal Parlamento, quanto spazio e quanta responsabilità avrebbero potuto avere le donne, quanto spazio politico avrebbe potuto avere Emily. E invece, il crollo del centrosinistra e le sue divisioni alle urne, il risultato deludente raggiunto dal partito democratico e, per noi, la sua stessa nascita sono stati motivo di difficoltà, di delusione, di allontanamento. Questo è un fatto che sottolineo con molto dispiacere perché marca il fallimento della mia generazione politica, tutti amici tra l’altro, e la necessità di un suo completo rinnovamento.
Io sono sicura che a queste ultime elezioni od anche alle amministrative prossime, le liste Emily avrebbero potuto prendere molti voti, se avessimo continuato a costruire quel tessuto sociale e territoriale come abbiamo fatto fino a qualche anno fa, avremmo potuto invertire, forse, quella crisi di rappresentanza che ha investito tutti i partiti della sinistra, indistintamente.
Uno dei motivi per cui Emily è nata, tenere insieme donne di diverse provenienze politiche per costruire lavoro comune.
E’ difficile negare che per Emily, per questo percorso insieme si è davvero chiusa una fase. Mi è difficile dire queste cose, credo che ciascuna di voi sappia quanta energia
io abbia messo in questo progetto, quanta parola, fin che ho potuto, abbia investito, ed è per questo che dobbiamo decidere ora, qui oggi insieme cosa fare, perché tutta questa strada fatta insieme non vada perduta. Da quando mi sono ammalata mi è stato difficile poter sostenere Emily come prima e purtroppo la mia energia forse era più importante di quanto io potessi immaginare.
Un gruppo così eterogeneo di donne non si può basare né sulla parola di una sola donna né sulla parola di alcune donne, ma deve poter contare sulla parola e la determinazione di tutte. E magari, quando è giunto il momento indicare una donna a rappresentarci, sorreggere una candidatura femminile. E invece neppure questo è accaduto.
Penso che anche le donne delle sinistre avrebbero potuto, superando steccati ideologici e identitari, sostenerla.
Per me (come per Annamaria) la scelta di sostenere la candidatura di Rosy Bindi è stata una scelta difficile ma coerente con il mio percorso e credo che proprio allora, quando l’associazione tutta non ha scelto di sostenere la candidatura alla carica di segretario del PD di una donna, si sia di fatto decretata la fine di questo percorso. Ho avuto modo di affrontare questo discorso, ma qui oggi, non lo ribadisco per tigna personale o per essermi sentita allora sola, ma perché considero che quello sia stato un treno perso, il salto di qualità mancato, un passaggio obbligato e irrinunciabile.
E’ successo allora quello che spesso succede nella politica; al momento di decidere le donne invece di coalizzarsi tra loro e indicare una loro rappresentante (e ancora oggi io credo che Rosy sia stata per tutte le primarie una buona esponente di un percorso e di un discorso femminile) tendono a scivolare nei loro percorsi di appartenenza, tendono a ritornare negli schieramenti misti dai quali con tanta fatica hanno tentato di emanciparsi.
Forse hanno ragione le donne della Libreria di Milano che con la rappresentanza non vogliono avere nulla a che fare, o forse no. Per noi donne dentro i partiti la questione della rappresentanza femminile dentro e fuori i partiti è al contrario questione centrale, non demandabile.
Tempo fa una femminista ha scritto che nella politica la donna viene ancora considerata marginale per consuetudine più che per discriminazione. Se questo è vero, la consuetudine ci riguarda da vicino, è un atteggiamento culturale e psicologico che nel caso della candidatura Bindi ha fatto sentire tutto il suo peso.
Il governo Berlusconi ha piazzato al Consiglio dei Ministri diverse donne
Quello che mi sembra significativo di questa scelta è che sia a sinistra che a destra è passata comunque l’idea che si possono sostenere le donne, anche se messe quasi sempre da entrambi gli schieramenti in ministeri senza portafoglio, abitudine, tra l’altro, bipartisan. Rare ma pur sempre significative le eccezioni, per e grazie ad un protagonismo femminile.
Mi sento confermata, in questa mia riflessione, dal fatto che, in questo momento, le librerie sono piene di pubblicazioni che parlano di donne, di libri scritti da donne e che hanno come protagoniste o come oggetto di analisi culturale e sociale, donne forti, capaci, determinate. Penso al libro di Concita de Gregorio, a quello di Lilli Gruber, a quello della Carfagna, e anche a quello di Vespa, anche se, in questo caso, l’autore non è donna., ma è un giornalista da sempre abituato ad analizzare il presente. E il presente è coniugato al femminile, è evidente.
Care amiche, come vedete sarebbero molte le cose che potremmo fare, che dobbiamo fare. Io sento ancora tutta la responsabilità di configgere con l’altro sesso e di portare avanti la nostra direi quasi missione.
Ma non è più con questa associazione. Non è più con Emily che noi potremo cambiare le cose. Lo ripeto, una fase si è conclusa ed io sono da sempre convinta che è meglio decidere di chiudere una cosa che farla morire. Concludendo volontariamente un percorso forse se ne può aprire un altro, altrettanto se non più interessante. Se si persegue, al contrario, con la politica del vivacchiare ecco che la medesima cosa si spegne e dalle sue ceneri nulla rinasce. Siamo vittime di troppe delusioni per infliggercene un’altra.
Io propongo dunque che l’associazione Emily a livello nazionale si sciolga. Se poi a livello locale alcune donne hanno intenzione di fare assemblee o di promuovere iniziative, ben mi guardo dal dire che questo non possa accadere, ma qui oggi, noi dobbiamo chiudere formalmente questo percorso.
Se, nonostante il dispiacere, già oggi io volessi guardare avanti io vi direi, senza imbarazzo, che si potrebbe riaprire un nuovo percorso per esempio con Rosy Bindi, che ci ha dimostrato di saper convogliare i voti femminili intorno alla sua figura.
Si potrebbe chiedere a queste donne di promuoversi, di sostenersi a vicenda puntando su quelle di noi che hanno voglia di vincere. Si potrebbe creare, assieme magari a Rosy Bindi un luogo aperto e trasversale alle donne di sinistra dentro e fuori il Pd, ad esempio una scuola di formazione per donne, un luogo davvero aperto contro e a differenza delle mille associazioni culturali, correnti, correntine e piccoli nuovi partiti che si vanno costituendo. Una formazione lunga, concreta, pratica, che eviti l’imbarazzo di ingressi in politica di persone impreparate: donne che hanno fatto la gavetta, come me, ce ne erano poche e ce ne sono sempre meno. Io sono davvero convinta che di fronte alla preoccupante crisi democratica che sta vivendo il nostro paese le donne possono e dovrebbero svolgere un ruolo importante, che di fronte all’arroganza di tutti i partiti, nessuno escluso, che vorrebbero rendere impossibile al cittadino, già alle prossime elezioni europee, scegliere direttamente il proprio rappresentante le donne dovrebbero essere le prime a fare una battaglia per la trasparenza e le preferenze.
Dovremmo continuare a sostenere il sistema maggioritario, l’unico, mi sembra, in grado di garantire e permettere chiarezza di voti, di risultati, di lealtà nel gioco politico.
Come vedete sono ancora tante le cose da fare, non dovete pensare che io non voglia esserci più, anzi, proprio perché voglio continuare a far sentire la mia e la nostra presenza, voglio continuare a portare il mio contributo, pur nella consapevolezza che non possa essere pari a come lo è stato fino al 2004, vi chiedo di cambiare insieme.
Insieme soprattutto perché io, dopo essere stata parlamentare per tanti anni, alla camera, al senato, prima e dopo la malattia, non mi candiderò alle prossime elezioni, ma voglio continuare ad essere con Voi, una parte della politica delle donne, della Lobby delle donne come è stato detto tante volte qui, oggi.