“Necrologio di un bambino che è ancora nella mia pancia”. Incipit forte, quello di Sara nella lettera al Presidente della Repubblica pubblicata il 30 aprile scorso sul quotidiano di Ezio Mauro, in prima pagina. Da quel giorno tutti o quasi sanno di lei e della sua denuncia: “1,300 € al mese mettiamo su mio marito e io, lavoratori precari. In queste condizioni non possiamo crescere un bambino”.
Quindi… fiato sospeso dell’audience che assiste, cosa rara, a un caso mediatico senza immagini. La tv non martella sulla vicenda. Il tam tam della notizia, e dei tanti commenti che l’accompagnano, viaggiano su internet e sui quotidiani compresi quelli della free-press, letti da milioni. Bene per Sara.
il Presidente le risponde. E poiché dice che nessuna donna deve abortire perché non ha abbastanza soldi, il dibattito prosegue su come incoraggiare la maternità a mezzo aiuti economici. Poi il lieto fine. L’associazione Gemma del Movimento per la Vita assicura a Sara un tot mensile riuscendo a salvare l’abitante della sua pancia e questi diventerà suo figlio. Evviva. Ma bisognerebbe dire: il loro figlio, visto che Sandra ha un marito, un marito che però non appare.
Perché? Perché lei non lo voleva accanto? Perché lui si è sottratto? Perché hanno concordato che sarebbe stato meglio se fosse stata lei sola a esporsi, per fare più colpo? Nella lettera originaria Sara accenna a lui di striscio: “era più deciso di me” a non tenere il figlio. Mi inquieta, devo dire, quel doppio o triplo senso che si può dedurre dal comportamento della coppia, una coppia – si badi bene – che tale non si è mostrata nel momento della drammatizzazione.
E però, per tramite di Sara, si è mostrata La Donna in essenza materna su una scena che, pur completamente rovesciata rispetto a quella degli anni ruggenti della lotta per il cosiddetto diritto d’aborto, quella storia riecheggia. Perché altrettanto imperniata sull’assenza dell’uomo. Infatti: quando le femministe manifestavano per chiedere “contraccettivi per non abortire e aborto libero per non morire” mettevano a tacere ogni Ente Maschile, dal singolo procuratore di aborti clandestini allo Stato anti-abortista.
E, ancora oggi, quando una donna irrompe sulla scena pubblica per porre un dilemma d’aborto lo fa assumendosene tutto il peso. La continuità mi sembra conturbante: dalle Streghe Son Tornate alla Precaria del Terzo Millennio. Sara è figura esemplare di un passato che non passa: l’assoluto protagonismo femminile in tema di maternità e aborto.
Quando di aborto parlano gli uomini, invece, non rappresentano l’Uomo. O meglio: si differenziano grossomodo in due tipi. Gli uomini comuni (tranne in rare ma significative situazioni-limite, tipo omicidi di mogli, compagne e amanti che o vogliono abortire anche se lui non vuole oppure vogliono portare a compimento la gravidanza contro la di loro volontà) continuano a stare zitti o a essere zittiti. Mentre quelli con un ruolo sociale o politico parlano per esprimere un pensiero. E, se sono intellettuali versati nella riflessione sull’universale, esprimono pensieri che dalle donne non possono prescindere, o per sincera compassione nei loro confronti o perché sedotti, altrettanto sinceramente, dalla loro alterità. Solo le donne, infatti, possono dare la vita o toglierla.
Pensate alla “moratoria degli aborti” lanciata non già per abrogare la 194, bensì per promuovere un’inversione di tendenza: mettere al primo posto la salvezza dei non-nati. A tal fine il direttore del Foglio, che la moratoria ha inventato, ha aperto una battaglia culturale a tutto campo per propugnare il disvalore assoluto dell’aborto paragonandolo a un assassinio.
La proposta ha suscitato consensi e dissensi, femminili e maschili e variamente articolati, per poi fallire quando si è trasformata in lista elettorale alle elezioni politiche di primavera. Ma ha segnato una svolta perché, al contrario dei precedenti detrattori della legge 194 (e quanti ce ne sono stati in trent’anni! In maggioranza assoluta: maschi), Ferrara, oltre il suo ruolo, ha messo in gioco sé stesso e la sua mascolinità, con tanto di auto da fé: ha confessato la propria colpa di coautore di aborti e ha additato i fratelli di sesso che continuano a spargere irresponsabilmente il loro seme come altrettanto colpevoli. Ha, in un certo senso, assunto parole femminili, ma per tentare un inedito “noi uomini e l’aborto” e rappresentare l’Uomo.
Chi ha contrastato organicamente e pubblicamente la sua mossa culturale e politica, é stato Adriano Sofri, altrettanto capace nel “partire da sé”, anche se un po’ meno incline al pentimento. Questi ha pubblicato un tempestivo pamphlet intitolato Contro Giuliano, dal sottotitolo non casuale: noi uomini, le donne, l’aborto. E’ un librino dalla parte delle donne che affrontano l’aborto come un inevitabile dolore cui l’uomo, altrettanto inevitabilmente, non può partecipare. Povere donne, dice Adriano per accusare l’amico-nemico Giuliano di appropriazione indebita dei loro affanni: “tu le appesantisci con la colpa chiamandole assassine. Ma le rendi più sole che mai, visto che gli uomini, io, tu, noi, non siamo in grado di condividere questo particolare dolore”.
Se prendiamo un po’ di Giuliano e un po’ di Adriano (considerando le debite differenze, essendo il primo preoccupato per la decadenza dell’umanità per via dei milioni e milioni di aborti praticati in tutto il mondo, il secondo fiducioso nel progresso dell’umanità malgrado l’inevitabilità dell’aborto), ci troviamo tutti, donne e uomini, nudi e crudi, di fronte alla colpa maschile. Che se non è colpa di essere killer di figli non nati, è dichiarazione di inadeguatezza ad affrontare l’aborto, tanto quello dell’inseminata sconosciuta quanto quella della moglie, fidanzata, amante.
Un inedito assoluto. Per “loro uomini.
Non certo per “noi donne”, abituate a avere a che fare con la colpa e l’inadeguatezza, proprio perché signore del nascere e del morire. Pertanto questo grandioso peso esistenziale lo dobbiamo per forza elaborare. Talvolta ne siamo capaci, talvolta no. Ma agli uomini cosa è successo e sta succedendo? Rispetto all’aborto, non più clandestino, nascosto, privato, bensì pubblico e blindato come ambiguo diritto nella Legge, gli uomini come se la stanno cavando?
Ripenso al marito di Sara reso irrilevante dall’azione dimostrativa della moglie. Evidentemente il “noi uomini” su maternità e aborto non lo ha (ancora?) coinvolto, non lo ha aiutato a rompere il silenzio. Forse perché si tratta di una proposizione ancora troppo elitaria, racchiusa nei circuiti della cosiddetta “comunicazione alta”.
Ma c’è anche dell’altro che mi induce a riflettere, proprio oggi che è crollato il muro di autodifesa femminil-femminista intorno alla legge 194 e si da più spazio alla difesa della vita, separando – sia pur blandamente nelle intenzioni – la vita non nata dalla madre che l’ha generata. E mi chiedo perché gli uomini che cominciano a esprimere i loro sentimenti in un contesto così cambiato non riescano a pronunciare parole se non di colpa o di inadeguatezza.