1/ C’è un surreale silenzio che sta avvolgendo la tristissima storia del ginecologo genovese, medico obiettore del Gaslini, suicida dopo aver saputo di essere indagato per aver fatto abortire clandestinamente alcune donne: è il silenzio della politica.
Tacciono i protagonisti delle crociate che negli ultimi mesi si sono scatenati nei confronti della legge 194, sulla scia di ineccepibili reprimende dottrinali della Chiesa, che finiscono per diventare però, con una traslazione dialettica impropria, pretesto strumentale di battaglie partitiche. Un conflitto che ci si dimentica di combattere sul terreno di uno Stato direttamente confinante con il Vaticano, ma, fino a prova contraria, laico. E stanno zitti, almeno per il momento, anche tutti gli esponenti di quelle formazioni che proprio ai diritti di uno Stato laico si appellano, quando si trovano costretti a difendere una legge che, oltre a garantire alle donne «il diritto alla procreazione cosciente e responsabile», è riuscita, da quando è entrata in vigore, nel 1978, a contenere in modo massiccio la vera, pesantissima, umiliante piaga di cui, appunto, non si parla mai: gli aborti clandestini.
La 194 è stata in grado di evitare, secondo i dati ufficiali forniti dall’Istituto superiore di sanità, 3,3 milioni di interruzioni volontarie di gravidanza, perché il percorso previsto dalla legge, per la donna che prende una decisione così forte e drammatica per il suo destino, è scandito da confronti con medici e specialisti dei consultori che spesso, evidentemente, riescono a farle cambiare idea. È un merito che nelle polemiche politiche viene sottolineato raramente. Ma ancora più raramente si aggiunge che la 194 ha arginato, finora, un milione di aborti clandestini.
La tragica vicenda di Genova sta dimostrando, se la magistratura confermerà i presupposti che hanno fatto scattare l’inchiesta, come gli aborti clandestini, nonostante tutto, continuino a essere praticati. In misura via via sempre minore, se è vero che dai 350 mila dell’82 si è scesi ai 20 mila del 2006. Ma con dimensioni comunque preoccupanti e con percentuali crescenti tra le donne immigrate (il 30% nel 2006).
La ragione che, in Italia, può indurre ancora oggi una donna a rivolgersi a medici e strutture illegali per interrompere una gravidanza è soprattutto una: la volontà di non farlo sapere “pubblicamente”. C’è chi ha motivi collegati al suo status di clandestinità e quindi ovviamente evita la dimensione ospedaliera per non autodenunciarsi. C’è chi vuole nascondere lo scandalo, la vergogna, l’imbarazzo di un intervento che, nelle corsie italiane, non viene minimamente protetto, perché il rispetto della privacy negli ospedali non esiste, nonostante le buone intenzioni dei medici e del personale sanitario. E questo è un tema enorme, che prima o poi chi governa dovrà affrontare. Spesso, chi ha abortito finisce nelle stesse stanze di chi ha partorito e l’intenzione di interrompere una gravidanza può essere benissimo scoperta sin dal momento in cui si passa dall’accettazione, dove chi è in coda, suo malgrado, ascolta tutto.
La politica, che oggi discute in modo così appassionato di 194 e diritto alla vita, non dovrebbe mai ignorare l’esistenza parallela degli aborti clandestini, che invece vengono regolarmente rimossi e a cui non si fa cenno neppure quando la cronaca li propone in maniera tanto bruciante. E dibattendo, giustamente, su un argomento così delicato e complesso – che la legge 194 ha cercato di regolamentare e che forse, anche sulla scorta delle conoscenze scientifiche acquisite nel frattempo, può essere migliorata – non si dovrebbe neppure dimenticare la profonda solitudine delle donne. Sono loro che, a un certo punto della vita, possono ritrovarsi di fronte a un bivio così lacerante. E, qualunque decisione prendano alla fine, alla politica (oltre che a se stesse) chiedono una risposta o una via d’uscita.
2/ Affonda ogni giorno di più nello squallore ipocrita, nel perbenismo da borghesi piccoli piccoli, nel falso moralismo del “si fa ma non si deve sapere” la storia del ginecologo genovese suicida perché indagato per aborti clandestini. Accanto alla tragica vicenda umana e professionale del medico obiettore del Gaslini, sta emergendo uno spicchio d’Italia (e forse è più di uno spicchio) che, potendoselo economicamente permettere, preferisce ancora interrompere una gravidanza nella patinata segretezza di una clinica privata, meglio se al di sopra di ogni sospetto, piuttosto che negli ospedali pubblici, come prevede la 194.
I motivi si possono naturalmente comprendere. Il percorso disegnato dalla legge contempla il filtro dei consultori e dunque tempi opportunamente un po’ più dilatati per prendere una decisione così dolorosa, traumatica e definitiva. C’è, per esempio, una settimana di riflessione prima di fissare l’intervento, perché la donna possa eventualmente ricredersi. La 194, che è diventata oggetto, in questi mesi, di attacchi più o meno frontali da parte della Chiesa e delle forze politiche di centrodestra, contiene in realtà al suo interno dei passaggi che cercano di scongiurare la scelta di abortire, considerata in ogni caso come extrema ratio.
Ma evidentemente questo tipo di approccio non dà sufficienti garanzie alla donna che ritiene la gravidanza un incidente di percorso da cancellare nel modo più rapido e, soprattutto, più riservato possibile. Ed è proprio la riservatezza il vero nodo cruciale che la politica dovrebbe affrontare e sciogliere, dovendo discutere di come migliorare o modificare la 194, se volesse davvero arginare il fenomeno degli aborti clandestini. È questa la molla che, come è accaduto a Genova e come accade in chissà quante altre città italiane (perché la riservatezza, nel caso specifico, non appartiene certo soltanto ai genovesi) spinge la potenziale madre a rivolgersi a medici e strutture clandestine.
Ma al di là delle contromisure che il legislatore potrà escogitare per rendere l’applicazione della 194, in futuro, più discreta possibile, resta comunque l’impressione che, nonostante tutto, la questione aborto sia ancora un vero e proprio tabù che si preferisce avvolgere in una collettiva ipocrisia. Il problema non si affronta per quel che è, ma lo si rimuove, psicologicamente e culturalmente, fino a quando i casi della vita non costringono a prenderlo in considerazione. E l’atteggiamento mentale, in questo caso, resta lo stesso. L’aborto si fa, ma in gran segreto, così è come se non fosse mai successo.
Nessuno, ovviamente, può permettersi di giudicare le motivazioni che possono convincere una donna ad interrompere una gravidanza e la campagna elettorale che sul caso di Genova ha deciso di avviare Giuliano Ferrara lascia spazio a più di una perplessità. Ma il dato grave e inquietante che affiora dall’inchiesta e dalle testimonianze che ora si moltiplicano, è che l’interruzione di gravidanza illegale è praticata da medici, spesso obiettori, di cui la stessa Chiesa, come ha dichiarato al Secolo XIX padre Ghilardi, responsabile per la Curia di Genova della Pastorale sanitaria, sospetta; di cui gli ambienti che contano sanno; così come, probabilmente, sanno anche molti camici bianchi.
Addirittura, ieri, si è scoperto che diversi interventi clandestini sono stati compiuti da Ermanno Rossi, il ginecologo suicida, nella clinica di Villa Serena, gestita con il 70% delle quote dalle suore dell’Immacolata, che sono rimaste annichilite dalla notizia.
Una riflessione più profonda e ampia, dunque, proprio per tutti questi motivi, andrebbe fatta sul dibattito che si è acceso intorno alla 194. La vera superficialità sarebbe continuare a fare finta di nulla, come è accaduto finora.
I due articoli sono usciti sul sito del Secolo XIX