Molte donne hanno manifestato a Napoli, Roma e altre città italiane. Si è espressa una giusta indignazione dopo l’intervento della magistratura e della polizia contro una donna in ospedale, sospettata di avere abortito illecitamente. Questa iniziativa, incredibilmente ottusa e violenta, è stata comprensibilmente messa in relazione con il brutto clima che sta generando l’iniziativa di Giuliano Ferrara per una cosiddetta “moratoria” contro l’aborto.
Ho già scritto una parte delle cose che penso di questa campagna del direttore del Foglio. Forse è necessario riflettere ancora, soprattutto da parte di noi uomini, e provare a reagire senza cadere nel pericolo di uno scontro sempre più violento a proposito di questioni – il valore della vita, la scelta per la procreazione, le responsabilità delle donne e degli uomini – rispetto alle quali le banalizzazioni della propaganda e gli strumentalismi di una politica sempre più povera di autorità sono del tutto inaccettabili (o meglio, sono inaccettabili sempre, ma quando si verificano su questo terreno risultano proprio insopportabili).
C’è qualcosa che mi sfugge nel comportamento parossistico di Ferrara.
E’ un uomo intelligente e appassionato, ma sembra non rendersi conto delle contraddizioni stridenti del discorso al quale si è abbandonato. Ripete ogni giorno che non vuole mettere in discussione la legge che in qualche modo si è proposta di combattere l’aborto clandestino, che non vuole che siano perseguite le donne che ricorrono all’aborto, che non intende contestare la loro libera scelta nella procreazione. Ma non vuole vedere che il solo fatto di avere accostato l’aborto alla pena di morte, insieme ai molti estremismi linguistici più o meno estetizzanti dei suoi interventi, generano reazioni molto negative, sia in coloro che aderiscono alla sua “crociata”, sia in molte e molti che la avversano.
Mi ha colpito l’intervista che sua moglie, Anselma Dell’Olio, ha rilasciato al Corriere della Sera. Si capisce che qui c’è stima e cura per una persona a cui si vuole bene, ma anche una certo distacco e una preoccupazione per l’irruenza – irrazionale? – con cui è stata abbracciata una causa che può rivelarsi molto rischiosa.
Io ripeto che il linguaggio di Ferrara mi sembra rivelatore di un profondo disagio maschile. E’ un sintomo. Come lo sono tante entusiastiche adesioni maschili al suo appello. Come lo è la, sia pure più cauta, tentazione delle gerarchie cattoliche di trarre un qualche vantaggio da questa iniziativa che nasce da una cultura così distante da quella cristiana.
Un disagio che non sa guardare bene dentro di sé, e che – ancora una volta nel tipico modo maschile dell’astrazione che alla fine è incapace di riconoscere le persone reali – cerca di darsi pace producendo una nuova norma. E magari dando luogo anche alla cattiva pratica politica di una lista elettorale che si arroga la rappresentanza in esclusiva del “diritto alla vita”.
Ecco la “missione” da compiere per redimere l’umanità: introdurre nella dichiarazione dei diritti dell’uomo quella magica frasetta. Il diritto alla vita “dal concepimento alla morte naturale”. Ma se le promesse di rispetto della libertà e della differenza femminile fossero autentiche, Ferrara e i suoi dovrebbero convenire che bisognerebbe aggiungere almeno un’altra frase: “Naturalmente dal concepimento alla nascita la cura di quella vita è affidata all’amore e alla libera scelta della madre”. La madre, lo sappiamo bene, se ne occuperà poi per molti altri anni dopo la nascita. Probabilmente per l’intera sua vita.
Molte donne, da ultimo Natalia Aspesi, hanno giustamente visto in questa storia un “ritorno del maschio” nella sua versione peggiore. Un essere in crisi che sembra ossessionato dall’aver perso il suo credito patriarcale, in ansiosa ricerca di un risarcimento: e che cosa c’è di più importante che impossessarsi del “governo” di ciò da cui il maschio è sempre stato sostanzialmente escluso, cioè proprio la cura di quella potenzialità di vita che si origina dopo la fecondazione nel ventre materno?
Le donne che hanno cominciato a reagire, hanno anche chiesto una chiara presa di posizione da parte degli uomini. Ho letto in rete un appello rivolto in particolare ai dirigenti della sinistra, per lo più silenti e imbarazzati, quando non tentati di prenotare consensi sulla questione della procreazione, magari promettendo quei 2.500 euro che dovrebbero garantire il desiderio di mettere al mondo un essere umano (ma non è un po’ poco se mettiamo sul piatto della bilancia il valore di una vita?).
Tutti dobbiamo rispondere.
Per esempio affermando che l’unica “moratoria” che potrebbe essere condivisa è proprio quella sull’esercizio della violenza maschile. Infatti non è violento solo il maschio che – come leggiamo ogni giorno – picchia, stupra e uccide, in famiglia e per la strada. E’ una violenza anche fare l’amore senza preoccuparsi di poter mettere incinta un donna. E’ violento il padre che non si assume le proprie responsabilità verso i figli. Come è violento quello che se ne crede padrone. E’ violenza arrogarsi il potere di attribuire “diritti” a una vita in potenza nel corpo di un altro essere umano. Chissà se la prossima volta un magistrato solerte e un bravo brigadiere sequestreranno un feto ancor prima che venga alla luce…
Certo è violenza anche costringere le famiglie povere a partorire un figlio solo, è violenza maschile il pregiudizio che spinge le madri a sopprimere le figlie femmine. E’ violenza la guerra. Se la “moratoria” parlasse questo linguaggio, forse sarebbe possibile un largo accordo tra tutti gli uomini di buona volontà.