Sono passati dieci giorni, ma vale la pena di tornare sul modo come è stata data una notizia che, in realtà, non era neppure una vera notizia. Mi riferisco al documento dei ginecologi romani sui neonati prematuri. Sono stati giornali e tg del 4 febbraio a scaraventare l’allarme nel discorso pubblico già abbastanza sovraeccitato dalla moratoria de Il Foglio . Valga per tutti Repubblica. Titolo a tutta pagina: “Aborto, scontro tra i medici”; sommario: “Polemica sui feti da salvare. Il Papa: difendere la vita prima della nascita”. E, a corredo, un occhiello che faceva dire a Livia Turco: “Crudele rianimare i prematuri anche se la madre è contraria”. C’era di che accendere le polveri.
Poco importava che il famoso documento dei ginecologi, come è stato chiarito dagli stessi autori (vedi Massimo Moscarini, Corriere della sera, 4 febbraio) e da altri autorevoli medici (vedi Umberto Veronesi, La Stampa, 4 febbraio), ribadisse quanto è già previsto dalle leggi, 194 compresa. E cioè che i nati prematuri, (anche dopo un aborto terapeutico), vanno accuditi e sottoposti a cure, evitando però l’accanimento. Poco importava che la “crudeltà” a cui faceva riferimento Livia Turco si riferisse a una dittatura medica che prescindesse da una relazione con la madre e che la coincidenza con l’ennesimo discorso del Papa sulla vita fosse appunto una coincidenza. Anche se tendenziosamente cercata.
Il dibattito si è popolato di donne e molte, anche per reazione alla violentissima campagna de Il Foglio, hanno colto soprattutto il “sottotesto” del documento romano. Cioè la messa in discussione della legge sull’aborto (“povere donne italiane”, Mafai su Repubblica). Nella difesa dell’autodeterminazione delle donne, alcune sono arrivate a sostenere, (anche se in modo implicito), ciò che il femminismo mai ha rivendicato. E cioè un potere di scelta della donna che va oltre la nascita.
Queste posizioni si sono espresse in particolare su Liberazione (5-7 febbraio), negli articoli di Angela Azzaro e Elettra Deiana e nell’inserto Queer (10 febbraio), ma anche sull’Unità (Chiara Valentini, 8 febbraio). Altre voci, come quella di Ritanna Armeni (Liberazione, 6 febbraio), hanno provato a distinguere e far riflettere (“non cadiamo nella trappola dei proclami reattivi, del colpo su colpo”) . La posta in gioco è in realtà molto alta. Perché, come ha scritto Grazia Zuffa (Il Manifesto, 9 febbraio), con le nuove tecnologie della gravidanza e della fecondazione “sempre più la madre è un grembo in transito”. E “l’antico sogno maschile del controllo della procreazione sembra più vicino a realizzarsi”.
Questa rubrica è uscita anche su “Europa”