L’assessore alla Semplificazione e alle Pari Opportunità del comune di Roma, Cecilia D’Elia, ha chiamato con il sindaco Veltroni Franca Chiaromonte, Rosa Russo Iervolino, Marisa Rodano, Anna Maria Riviello per ricordare (con un video di Gabriella Bonacchi e Barbara Galanti) Giglia Tedesco.
Giglia è una donna che ci è molto piaciuta. Le ragioni le spiega Franca Chiaromonte:
In un volantino stampato per le elezioni del 7 giugno 1953 leggiamo:
“Mamma, sposa, ragazza che ami la tua famiglia il tuo lavoro il tuo avvenire ricorda che hai bisogno di eleggere come tua rappresentante una buona sorella, una buona amica, che si prenda cura di te, che ti protegga e ti aiuti“.
La donna in questione è Giglia Tedesco, candidata al parlamento, numero 19 nella lista che aveva per simbolo la falce e il martello del Pci.
Insiste il volantino che Giglia “è la candidata delle donne dell’Irpinia. Anzi, tutte le donne che vogliono vivere meglio di come vivono oggi devono votare per la loro amica, per colei che le difende“.
La loro amica e la nostra, di quante siamo qui per ricordarla.
Siamo qui per ricordarla grazie alla politica dell’amicizia che ha saputo costruire. Una cosa rara questa politica.
Eppure Giglia ci è riuscita. Come ha fatto?
Restando fedele alle sue relazioni.
Quando l’11 settembre 2004 Franca è stata colpita da una sorta di fulmine a ciel sereno e la malattia le ha bloccato la gamba, il braccio destro, la parola, Giglia non l’ ha abbandonata.
Perché è stata una donna fedele. E una donna tenace.
Nelle scelte, nel modo di coltivarle.
In che cosa consistevano queste scelte? Nel suo essere comunista e contemporaneamente nel non dimenticare di essere nata di sesso femminile. Negli anni Cinquanta ci voleva sapienza per tenersi in equilibrio tra questi due poli.
Eppure Giglia seppe farlo conservando la sua libertà (fu il suo segreto); muovendosi con un segno femminile in quel Partito comunista dove trionfava il Noi della classe operaia.
Fu una dirigente mai arrendevole. Non si mostrò mai subordinata al segretario del Partito, e sfuggì alla definizione che con il tempo sarebbe diventata sempre più in voga tra i media, della berlingueriana, nattiana, occhettiana, dalemiana, veltroniana, fassiniana. Non ebbe ripensamenti, scarti, strappi. Mai avrebbe concepito di rompere il legame con il partito perché la sua casa era quella.
Vicina ai riformisti, sostenne l’associazione LibertàEguale.
Con Gerardo Chiaromonte, il papà di Franca, ebbe un rapporto forte, resistente. A riprova il saggio che accompagna i discorsi parlamentari di Gerardo. Per spiegare a chi poco l’ha conosciuta quanto era modesta e quanto rifuggiva dalla logica dell’apparire, basta ricordare una nota di quel saggio: “Chi scrive all’epoca vicepresidente del senato non può dimenticare la chiarezza e l’incisività con cui Chiaromonte le suggerì in un brevissimo intervallo dei lavori d’Aula – la linea per l’intervento che avrebbe svolto a nome del Gruppo l’8 novembre 1985 sulla nota vicenda di Sigonella“.
In anni lontani, da quell’ordine patriarcale che pretendeva la sottomissione femminile si chiamò fuori, tranquilla. E si scontrò sul divorzio con quei dirigenti comunisti che tanto per cambiare avevano mediato fino all’ultimo minuto con la Dc e il Vaticano.
Sembrerà strano ai più giovani eppure come lei ci riuscirono donne comuniste e democristiane che ebbero il senso dello Stato e dell’autorità del parlamento.
Donne serie, costanti nei sentimenti, desiderose di confrontarsi, di dialogare. Proprio a casa di Luciana Viviani, dopo l’uscita del libro della madre di Franca, Bice, “Donna ebrea e comunista“ si sono svolte discussioni intense, quasi da autocoscienza, tra Giglia, Luciana e Bice davanti a un plateau di pasterelle.
In tempi di femminismo nascente, quando la politica delle donne era una scoperta anche molto gridata. e il conflitto sull’aborto con il Pci era acutissimo, Giglia che veniva da battaglie epiche (condotte anche con l’Udi) come quella per la nuova legge sul diritto di famiglia che avrebbe tolto al capofamiglia il suo scettro e cambiato il rapporto tra genitori e figli, non si tirò indietro.
Interessata alla vita femminile, partecipò alla socialità e alla politica femminile. Frequentatrice del Virginia Woolf, della Casa delle donne, si iscrisse, sin dalla fondazione all’associazione Emily per la quale tenne, a Ercolano, il primo corso di formazione.
Giglia è stata un’amica equilibrata.
Trasparente nei giudizi, impegnata, curiosa.
Non volle mai mettersi in mostra.
Come succede a molte donne, comprese l’importanza del fare. Bandì l’arroganza, la retorica ed ogni solennità.
Per questo avremo nostalgia del suo sguardo vivo, del suo sorriso. Non dobbiamo vergognarci di questo sentimento, sarà un modo per ricordarla e ricordare quella politica dell’amicizia che, ai nostro occhi, ha reso migliore la politica della sinistra.