“Caro partito democratico ti dico…”, così comincia la lettera appello di un gruppo di donne di Bologna “impegnate nella politica, nel volontariato, nel sociale, nell’associazionismo” che convoca un confronto pubblico alla vigilia dei congressi di DS e Margherita (www.women.it). Che vogliono le bolognesi? Che le donne siano maggiormente rappresentate nella fase costituente e che il nuovo partito sappia confrontarsi con la tradizione del femminismo e dei movimenti delle donne.
Più o meno quello che chiedono le milanesi che chiedono “discontinuità e rinnovamento” e auspicano un “partito paritario” e un forte ricambio generazionale (www.dsonline.it). “Un partito nuovo che sappia guardare al futuro con i nostri occhi”, così si legge nel manifesto delle “donne per il partito democratico”. “Contateci, noi contiamo” è il pragmatico slogan della rete femminile D52 (www.margheritaonline.it).
Non basta parlare di quote, dobbiamo “renderci attive per una piattaforma delle donne per il governo del paese” esorta Franca Bimbi dal Veneto (www.womenews.net).
Insomma fioriscono, manifesti e appelli, che dicono il metodo ma mai i contenuti. Lavoro, maternità, fecondazione assistita, coppie di fatto, tasse, welfare: che cosa vogliono/vogliamo veramente? “Mettere al centro la vita quotidiana delle donne, il loro lavoro, i loro interessi, bisogni e desideri, la loro libertà e responsabilità” si legge nel documento milanese. E cioè?
Claudia Mancina cerca di entrare nel merito. Ancora una volta del metodo. Per eleggere la Costituente del nuovo partito “niente quote dei partiti, ma una testa un voto” (Il Riformista, 13 aprile).
Anna Finocchiaro insiste sul ricambio generazionale, giovani donne e uomini che portino aria fresca e “i cinquantenni si mettano in gioco come tutti gli altri” (La Stampa, 16 aprile). Ma basterà tutto questo “per uscire da una politica in crisi”?
Se lo chiede Letizia Paolozzi e sa già la risposta. Non basterà. Anche perché le donne diesse, ad esempio, “si dividono –tale quale gli uomini- tra la mozione Fassino, Mussi e Angius” (www.donnealtri.it). Ma anche questa divisione su che cosa si fonda? Certo non sulla pratica di governo visto che tutti gli aderenti alle mozioni, uomini e donne, sono al governo o lo sostengono.
E allora su che cosa? Sulla parola ‘socialista’? Sulla parità e differenza femminile? Sulla laicità? Non è chiaro.
Si respira reticenza, perché a dire cose impegnative si rischiano rotture o per lo meno irritazioni. O perché non si sa bene quali siano le cose impegnative da dire e da fare che diano senso a un partito. E in effetti è un’impresa difficile costruirne uno nuovo.
Una “bella impresa” dice Livia Turco intervistata su “A” (11 aprile), perché “cattolici, diessini e socialisti, dunque diversi, siamo impegnati nella costruzione di un nuovo pensiero politico”. E Prodi promette: la prima tessera del nuovo partito sarà di una ragazza.
Purtroppo, viviamo in un paese incattivito, come hanno scritto Adriano Sofri (La Repubblica, 14 aprile) e Ida Dominijanni (Il Manifesto, 17 aprile) dove, (è Silvia Ronchey che infierisce su Io donna), “l’ipocrisia intellettuale è diventata così metodica, e ogni dichiarazione sembra dettata in Italia da motivi di ancillarità partitica così scoperti e indifferenti ai contenuti, che ci si domanda come fare a spiegare ai nostri figli realtà e principi elementari”.