Avrei preferito che non si organizzasse una manifestazione a S. Giovanni, a Roma, per difendere i valori della famiglia, e soprattutto per opporsi – sia pure con parole relativamente prudenti (vedi il manifesto che chiama a manifestare) – al disegno di legge detto “Dico”.
Avrei anche preferito che il nuovo capo della Conferenza episcopale italiana, monsignor Bagnasco, non invitasse tanto direttamente i politici cattolici a non votare quella legge, o leggi simili, e ancor di più avrei preferito che non scivolasse così platealmente sulle relazioni di senso tra unioni di fatto, incesto e pedofilia, e su quelle tra natura e etica.
Tuttavia, osservo laicamente che questa foga di mobilitare la piazza e questa inquietudine e confusione linguistica denotano uno stato di paura e di minorità.
Se bisogna organizzare un corteo, allora la famiglia basata “naturalmente” sul matrimonio, architrave della società, assomiglia improvvisamente a un obiettivo qualsiasi di una battaglia molto poco universale, e molto probabilmente minoritaria.
Ed è appena il caso di osservare che questo attivismo delle gerarchie ecclesiastiche e di un mondo collaterale, ha ridato improvvisamente smalto a quello che una volta si chiamava il “dissenso” cattolico e alle posizioni diverse, razionali e coerenti, di cattolici democratici come Rosy Bindi.
Questo lo dico non per sottovalutare il peso della posizione della Chiesa cattolica in Italia, in un quadro politico caratterizzato anch’esso da debolezza, strumentalismi e confusione mentale. Ma per ragionare sui contenuti degli argomenti – e lo stile di argomentazione – di chi si oppone a Bagnasco e a Ratzinger.
Propongo quindi la lettura dei due articoli: di Luisa Muraro, filosofa femminista, sul “manifesto”, e di Piero Sansonetti, direttore di “Liberazione”.
Preferirei che non fossero rimosse le ragioni di Sansonetti, ma nemmeno sottovalutate le cautele e le distinzioni di Muraro.