Pubblichiamo l’invito e alcuni materiali per la discussione che si svolgerà a Milano sabato 1 febbraio sul tema “Maschilità e guerra”, per iniziativa di alcune associazioni, gruppi, e singoli uomini e donne, e con la collaborazione di Radio Popolare:
Invito per un incontro di discussione sulla questione:
Maschilità e Guerra
Guerra non è solo una parola oggi molto citata dal mondo dell’informazione ma è un fatto che ci coinvolge sia per le politiche di governo, sia individualmente per come ci poniamo e ne viviamo gli effetti.
Ma a monte di tutto ciò c’è, però, una ovvietà che non appare in tutta la sua forza:
la guerra, è da sempre, una cosa da maschi; si cresce formati e culturalmente orientati alla guerra.
Ne discuteremo sabato 1° febbraio 2025 dalle 14.00 alle 18.30
presso l’Auditorium Demetrio Stratos – Radio Popolare Milano in Via Ollearo 5, a partire dalle tracce elaborate in questi mesi, pubblicate qui di seguito, da persone e realtà associative e dalle sollecitazioni di interventi che saranno svolti da:
• Edoardo Albinati: scrittore – traduttore – sceneggiatore;
• Giuseppe Mazza: docente di comunicazione
• Uri Noy Meir ” Combattenti per la pace” – ass. Israelo-Palestinese;
• Nadia Maria Filippini, storica, sul tema “Il guerriero e la partoriente: le radici culturali della polarizzazione dei generi”.
L’iniziativa è promossa da Associazione “Maschile Plurale APS ETS” e Associazione “È Possibile, Uomini contro ogni violenza”, insieme con: Arci Scuotimento, Monza; Casa per la pace, Milano; Gnam Milano; Mica Macho, Milano; Cerchio degli uomini Milano; Camera del Lavoro, Milano; Uomini in ascolto Val Pellice; Uomini in cammino, Pinerolo; Gruppo uomini Verona.
Si potrà seguire anche da remoto a questo link:
https://meet.google.com/oun-zbod-dto
Ecco le “tracce” elaborate negli incontri che si sono svolti nei mesi scorsi e che hanno portato all’iniziativa di sabato come momento di inizio di un confronto e una discussione che si vorrebbe allargare e approfondire:
MASCHILITÀ E GUERRA
Milano, 1° febbraio 2025
Auditorium DEMETRIO STRATOS – Radio Popolare
Viviamo momenti di grande tensione nelle relazioni internazionali dove più che le diplomazie parlano i cannoni e scoppiano bombe, non solo in continenti lontani ma, vicino a noi, in Eu-ropa e ai suoi confini.
Guerra non è solo una parola oggi molto citata dal mondo dell’informazione (responsabile a volte di minimizzarne gli effetti) ma è un fatto che ci coinvolge direttamente e indirettamente, sia nelle politiche di governo sia personalmente per come ci poniamo e ne viviamo gli effetti.
Ma a monte di tutto ciò c’è una ovvietà che non appare in tutta la sua forza: la guerra, da sempre è una cosa da maschi: si cresce formati e culturalmente orientati alla guerra.
In questi mesi preparatori dell’incontro del 1° di febbraio, la discussione tra noi si è soffermata su alcune tracce intorno al tema indicato: vorremmo discuterne con una circolarità di con-fronto che ci aiuti nell’esporci con le nostre emozioni, sentimenti, paure, desideri, mediante il “partire da sé” (pratica di autocoscienza) come filo conduttore della riflessione.
La riflessione che proponiamo non terminerà con l’incontro del primo di febbraio se sapremo creare vitalità di pensiero e di azione con chi riconoscerà con noi (uomini, donne, movimenti, associazioni, soggetti socialmente attivi, etc.) l’importanza di destrutturare il rapporto che crediamo esista tra maschilità e guerra.
Cercheremo di farlo praticando la “diserzione” dalle sue propagande, dalle sue pericolose fa-scinazioni, e ovviamente, dagli stereotipi di cui fin da bambini e da bambine siamo stati/e vit-time.
Alcune Tracce per la discussione
1. Guerra: un’impresa sostanzialmente maschile?
Pur non essendo condotta solo da uomini, la guerra resta per molti aspetti – e da millenni – un’impresa sostanzialmente “maschile”.
Il legame tra guerra e maschilità è complesso e può essere indagato da vari punti di vista: sim-bolici, antropologici, culturali, politici, economici, giuridici ecc.
Una lettura “di genere” della guerra può aiutarci a mettere a fuoco in maniera più approfondita il dispositivo bellico dal punto di vista dei rapporti di potere (tra uomini, tra donne e uomini, tra generazioni), della produzione di valori, dello status sociale, dei modelli di relazione sociale e identitari, delle percezioni e delle rappresentazioni del corpo e della sessualità; nonché dei significati attribuiti alla vita e alla morte (del dare vita o del dare morte).
«La guerra non è che un duello su larga scala», ha scritto von Clausewitz, e sebbene oggi negli eserciti ci siano – con compiti, quantità e poteri diversi – anche le donne, la guerra resta in pro-fondità un modo maschile di gestire i conflitti.
Lo fa attraverso un meccanismo competitivo, con una logica di gioco “a somma zero”; una lo-gica che non riconosce alterità e differenza se non in una visione binaria estrema: dominan-te/sottomesso, vincitore/sconfitto, vivo/morto.
2. Violenza maschile e violenza bellica
Ci pare che ci sia una qualche forma di vicinanza, se non continuità, tra la violenza maschile che si esercita contro le donne (e contro persone percepite come “diverse”, “devianti”, “stra-niere”, “nemiche” ecc.) e la violenza bellica tradizionalmente esercitata dai maschi.
Negli ultimi anni sembra essere maturata una maggiore sensibilità anche maschile contro la violenza alle donne. Ci chiediamo: può questo fatto favorire una presa di coscienza sulle corre-lazioni tra maschilità e guerra?
Detto in maniera più esplicita: riconoscere, da parte maschile, che ci appartiene non solo la violenza contro le donne – verso la quale sembra crescere una generale ripulsa – ma anche la violenza bellica, può aiutare il rifiuto della guerra come mezzo di soluzione delle contese?
Forse è insufficiente parlare di guerra e di violenza usando uno schema binario (appunto: pa-ce/ guerra, violenza/non violenza). Infatti, nelle discussioni svolte alcuni di noi non si sono ri-conosciuti in questo schema che non dà conto della complessità delle situazioni e dei vissuti.
La guerra e la violenza ci attraversano nella quotidianità delle nostre relazioni: di questo dob-biamo tener conto nella riflessione e nel confronto.
Quindi, alcune domande ci si propongono: in che modo questa relazione ci attraversa? Ha davvero a che fare con le nostre identità di maschi? Per quali motivi questa dimensione della vita ci interpella? Che radici ha?
È importante capire le differenze di livello, di grado e di complessità esistenti tra la violenza in-terpersonale, di prossimità, e la violenza bellica. Ognuno di noi, uomo o donna, prova l’impulso di rispondere con la violenza di fronte a un pericolo grave per la propria incolumità o quella delle persone care. È parte dell’istinto di sopravvivenza. Ma ciò è cosa ben diversa dalla guerra che, occorre ricordarlo, è una violenza studiata, preparata, organizzata e condotta su vasta scala dal potere politico e militare con l’ausilio di un’enorme macchina organizzativa, tecnologica, economica, finanziaria, di propaganda e che costringe, a freddo, le persone ad agire e ad esporsi alla violenza.
3. Violenza sessuale – stupro bellico – annichilimento dei corpi
Le violenze sessuali nelle più diverse forme – rapimenti, prostituzione, sevizie, e ricorso siste-matico allo stupro ecc. – hanno fin dall’origine accompagnato le guerre. Questo ci spinge a ri-flettere su come la guerra riguardi nel suo profondo le relazioni tra i sessi.
Lo «stupro bellico non viene solo usato come arma contro il nemico, dunque come mezzo per umiliarlo, mortificarlo, sfregiarlo, annientarne la basilare umanità identificata nel corpo femmi-nile, ma talvolta pare sia esso stesso il fine dell’azione, il culmine simbolico e non simbolico della violenza, persino più dell’assassinio… è esso stesso parte integrante dell’azione militare, ne è per così dire la forma primaria, arcaica, appunto quintessenziale» (E. Albinati).
Ci pare necessario, perciò, approfondire la relazione tra violenza bellica e annullamento-annichilimento dei corpi anche in scenari di virtualizzazione, spettacolarizzazione, tecnologiz-zazione della guerra.
Costatiamo una sorta di disconnessione politica e culturale sulla questione: le persone pen-sano che la guerra non le riguardi (per esempio i giovani uomini oggi esentati dal servizio mili-tare) mentre l’uso dei droni e di sistemi basati sull’intelligenza artificiale, come in un videoga-me, offusca la realtà delle tragedie e degli orrori in atto.
4. Propaganda di guerra
Da tempo siamo immersi in una propaganda di guerra che promuove l’odio, il rancore, la miso-ginia. Molti maschi sentono minata dalla rivoluzione femminile la loro virilità, sentono minati i capisaldi del loro potere.
Ecco allora “il sovranismo” come nuovo idolo identitario fondato sulla terra (nazionalismo), sulla razza (razzismo, primatismo bianco), sulla creazione di un nemico (il diverso, lo stranie-ro).
Tutto questo ci preoccupa e ci spaventa, anche perché non ci pare sopita negli uomini la fasci-nazione per le armi, la divisa, l’appartenenza ad un corpo omosociale (es: l’esercito). Fascina-zione alimentata e supportata dai miti e simboli in cui si alimentano le memorie delle guerre (es: i monumenti ai caduti).
5. Pacifismo
Dall’esperienza del pacifismo e dell’obiezione di coscienza è maturata, in alcuni gruppi di uo-mini, l’esperienza dell’autocoscienza che a partire dalla scelta di uscire da uno dei fondamen-tali sistemi di produzione del maschilismo – il servizio militare – hanno maturato desideri di cambiamento di sé contro tutto ciò che promuove, sostiene, produce rapporti gerarchici, di potere, di prepotenza riconoscendo punti in comuni tra maschilismo e militarismo.
La nonviolenza, cultura e pratica sulla quale permangono molti pregiudizi, va riconosciuta, compresa e valorizzata come una pratica diffusa nei conflitti quotidiani di relazione tra perso-ne, anche in situazioni complicate (le separazioni).
Una delle questioni fondamentali, nello scenario attuale, ci pare sia comprendere, se e come, una proposta di nonviolenza possa davvero trasformarsi da opzione etica individuale (ma non solo) in una vera prospettiva e proposta politica realistica e praticata che sappia indirizzare le relazioni internazionali e rilanciare le possibilità di incontro e confronto tra popoli, società e collettività.
6. La rabbia e la forza delle donne
Pensando alle donne, al femminismo, si pensa subito alla rabbia, che può essere vista come un ostacolo alla nonviolenza, o espunta dai ragionamenti sul pacifismo.
Ma, viceversa, non possiamo prescindere dal riconoscere le emozioni come parte del pensiero e della pratica, e la rabbia per le donne è stata ed è la risposta a un’ingiustizia percepita e patita.
Le donne hanno saputo canalizzarla in modo non distruttivo e questa è una pratica non vio-lenta potente.
La rabbia delle donne – come ha argomentato Audre Lorde – è un mezzo per articolare una vi-sione di cambiamento.
Essere pacifisti non significa subire passivamente un attacco, come è stato detto nella nostra discussione, ma avere e usare strumenti di difesa che non riproducano il ciclo della violenza.
Usare la forza come risposta a un ordine del mondo iniquo: le donne – ha scritto Luisa Muraro nel suo libro Dio è violent – l’hanno fatto mantenendo l’amore per il mondo, andando a minare i rapporti di potere (sessismo) ovvero sgretolando le relazioni concrete e l’ordine simbolico che le sosteneva, quindi in una forma della nonviolenza che ha sfidato simbolicamente le strutture oppressive.
7. Ordine simbolico e linguaggio
La guerra è anche imposizione di un ordine simbolico e di un ordine del discorso sia per uo-mini che per donne.
Quindi, occorre dire, parlare, dare significato all’esperienza con altre parole (con nuove paro-le). Poniamo, allora, attenzione alle parole che, secondo i contesti e le situazioni, possono as-sumere diversi e particolari significati: ad esempio, la parola “resistenza” oggi è sinonimo di guerra pur essendo qualcosa di diverso dalla guerra stessa. Smontare questi significati e pro-porne altri è una vera e propria opera di decostruzione del sistema di valori e convinzioni che sostiene la cultura e la pratica della guerra.
Abbiamo bisogno, perciò, non solo di discutere idee nuove ma anche di allargare lo spazio perché possa affermarsi una lingua nuova, una lingua capace di “mettere al mondo” in uno spazio intersoggettivo e pubblico, in una prospettiva diversa da quella del dominio e dell’imposizione del proprio volere sulle alterità.
Hanno contribuito alla stesura di queste “tracce” e promuovono l’incontro “Maschilità e guerra”:
Alberto Leiss – di Maschile Plurale, gruppo “maschile in gioco” di Roma
Alberto Villa – dell’ass. “è Possibile. Uomini contro ogni violenza” di Monza-Brianza
Beppe Pavan – del gruppo “Uomini in cammino” di Pinerolo (TO)
Danilo Villa – di Maschile Plurale, ass. “è Possibile. Uomini contro ogni violenza” di MB
Domenico Matarozzo – del gruppo “Uomini in ascolto” di Val Pellice (TO)
Ermanno Porro – di Maschile Plurale, ass. è Possibile. Uomini contro ogni violenza” di MB
Fabio Bonacina – dell’ass. “è Possibile. Uomini contro ogni violenza” di Monza-Brianza
Federico Battistutta – del gruppo Cerchio degli uomini di Milano
Franco Tagliaferri – dell’ass. “è Possibile. Uomini contro ogni violenza” di Monza-Brianza
Giancarlo Viganò – dell’ass. “è Possibile. Uomini contro ogni violenza” di Monza-Brianza
Laura Colombo – della Libreria delle Donne di Milano
Marco Arosio
Marco Deriu – di Maschile Plurale
Marco Forlani – del gruppo GNAM di Milano
Mario Castiglioni – dell’ass. “è Possibile. Uomini contro ogni violenza” di Monza-Brianza
Mario Gritti – del gruppo uomini di Verona
Pierluigi Rossi – della Casa della Pace di Milano
Rinalda Carati
Silvia Baratella – della Libreria delle Donne di Milano
Simone Lauria – della Camera del Lavoro Metropolitana di Milano
Traudel Sattler – della Libreria delle Donne di Milano