Pubblicato sul manifesto il 10 dicembre 2024 –
Ho dato un’occhiata ai giornali di questi giorni e anche all’introduzione del nuovo rapporto Censis 2024. Ne ho tratto l’impressione, forse errata (approfondirò magari lettura e riflessione), che l’analisi che ci offre il famoso centro inventato da Giuseppe De Rita sia un po’ come certi antichi responsi dell’oracolo: a seconda di come vengono letti possono definire il presente e annunciare il futuro in modi del tutto opposti. Del tipo: le cose sembrano andare bene, ma sotto sotto vanno assai male. Oppure: abbiamo la sensazione che tutto vada a rotoli, ma a ben guardare ci sono spinte positive che frutteranno benefici germogli… (del rapporto ha parlato con più cognizione di causa su queste pagine Roberto Ciccarelli).
Difficile in ogni caso guardare a cosa succede in casa nostra e in noi stessi. Ancora più enigmatico capire dove sta andando il mondo intero, tra guerre tanto orrende quanto assurde, improvvise crisi e rivolgimenti, nel gioco torbido di uomini potenti e inquietanti.
Viene la tentazione di riposare un momento la mente confusa (anche per gli anni che passano) e rivolgersi alle antiche consolazioni artistiche. La musica prima di tutto, ma anche la letteratura e non solo. In fondo non aveva forse ragione il vecchio Schiller a predicare che solo una educazione estetica avrebbe potuto raddrizzare un poco il legno storto che siamo?
Tempo fa mi dotai delle 1.875 pagine della traduzione bilingue dell’Ulisse realizzata da Enrico Terrinoni (Bompiani 2021). Mi ero imposto di leggere il libro di Joyce a 18 anni e mi aveva affascinato, credo contando qualcosa nella mia “formazione” (o deformazione). Volevo vedere che effetto mi avrebbe fatto rileggerlo a distanza di un mezzo secolo piuttosto abbondante. L’esperimento per ora si è svolto solo per piccoli assaggi. Ma sufficienti a farmi acquistare a prima vista (sia pure invogliato da un prezzo scontato) l’ultimo lavoro di Terrinoni, La letteratura come materia oscura (Treccani 2024). Quindi ora me la cavo rubacchiando qualche citazione.
«La creazione artistica per me si schiude brillando. Eppure, malgrado questa sua splendida e splendente luminosità, essa corre sempre il rischio di chiudersi, collassando sotto la sua stessa gravità. Proprio come una stella che, dopo il collasso, lascia il posto a un buco nero». Chissà che le cose non si stiano tanto complicando perché stiamo inconsapevolmente e quantisticamente viaggiando verso una di queste paurose voragini. Il titolo del testo ci invita forse a riflettere su quanto poco sappiamo (credo che il 95 per cento della realtà di cui è fatto l’Universo sia ancora ignoto, “oscuro”, alla nostra scienza) e quindi, nel tempo in cui tutto accelera a precipizio, c’è un invito all’esitazione, e alla riflessione prima di fissare giudizi ancorché critici.
Ecco il senso dei neologismi nel titolo. Dopo una citazione da Stephen Hawking e alcune da Giorgio Manganelli (assai irridenti sulle «affermazioni campate per aria» della critica letteraria sulla bravura o meno di questo o quell’autore) si legge: «Quanto è ineffabile il parlare, quando dobbiamo esitare a esistere prima di produrre una sentenza? “Esistare” è forse il nuovo verbo per definire la nostra condizione senziente. E forse dovremmo anche aggiungere che vivere è una forma di “esitenza”, che ci impone di attendere alle azioni altrui, e non attenderle. Tendere orecchi alle tesi degli altri, tesi nello sforzo di captarne risultati non attesi. Ossia non a tesi».
Eccesso di virtuosismi linguistici? Ma è peccato divertirsi un po’ cercando relazioni non troppo determinate tra arte e scienza (e, aggiungo, politica)?