8 Marzo. Giornata internazionale della donna. Data intrisa di stereotipi, ma quest’anno più vivace del solito. Merito delle manifestazioni del 13 febbraio. “Silvio Berlusconi paradossalmente è stato una panacea per le donne italiane: le ha fatte indignare talmente da dare vita alla nuova ondata di femminismo made in Italy. In una parola: le ha unite” (la scrittrice Erica Jong sul “Corriere della Sera”).
Le donne in questo caso hanno vissuto la Giornata internazionale con cortei diversi. Uno la mattina, uno il pomeriggio: perlomeno a Roma. “Libere e indecorose” di qua; quelle che vogliono fare dell’Italia “un paese per donne” di là. Anche nella destra, la parte femminile non si è tirata indietro con un suo convegno (ne parla Franca Fossati su questo sito).
Intanto, a celebrare l’8 marzo arriva il ddl sulle “detestabili” quote rosa nei Cda delle aziende quotate in Borsa che andranno a regime con un trenta per cento almeno di presenza femminile nel 2015. Dubbi se l’impresa valga la fatica. I commentatori concludono, con banalità catalanesca: meglio avere le quote che non averle.
D’altronde, una donna – Angela Merkel, Emma Marcegaglia, Susanna Camusso – nella stanza dei bottoni da sola fa o no primavera? Per questo largo alle quote. Anzi, a una rappresentanza politica del 50 e 50. Così da soddisfare la “democrazia paritaria”. Benché non sia tanto sicuro che al numero corrisponda la qualità.
Pazienza. Bisogna pur bombardare il quartier generale (chiedendo aiuto allo Stato), dal momento che il potere se lo tengono stretto personaggi in doppio petto e cravatta (unica eccezione il pullover di Marchionne).
Allora, si insiste con le leggi. Ci vuole una norma sul congedo di paternità obbligatorio: due settimane di assenza dal lavoro a paga completa. E non dite che due settimane vi sembrano pochine per apprendere la cura dei figli e il ruolo da papà.
L’8 Marzo è data di consuntivi, di bilanci sulla strada percorsa e quella da percorrere. Quest’anno si metta pure a circolare una favoletta, accreditata dai giornali, tv e da giornaliste un po’ rozze: il femminismo fu zoccolante negli anni Settanta. Quindi scomparve, si inabissò. Ricompare nuovo di zecca dopo più di vent’anni. Con l’obiettivo della parità e pure della differenza. Della inclusione e della concretezza. Non so se Silvio Berlusconi sia stato una “panacea” per le donne italiane. Certo “grazie” a lui le piazze si sono riempite. L’opposizione non ci sarebbe riuscita senza il sesso femminile. Allora, viva il femminismo?
Diciamo che il premier ha funzionato da detonatore. Già dalla discesa in campo non è stato soltanto un fenomeno mediatico. In televisione, in quelle sue e in quelle di monopolio, ha sempre spiegato: “Faccio ridere perché al pubblico piaccio così”. Senza serietà, senza autorità.
Sarà una ferita al nostro cuore di sessantottini irredenti ma l’affermazione del filosofo Slavoj Zizek (su Alfabeta2 .04) non è sbagliata: “Uno come lui può diventare Presidente solo dopo la ribellione antiautoritaria del ’68 – il che la dice lunga sui limiti del ‘68”.
E la dice lunga sul Berlusconi antiautoritario che prova noia per i pesi e contrappesi della Costituzione, che non sopporta lo staff del Colle “puntiglioso contro ogni nostra legge”. Il grido di Don Giovanni: Viva la libertà in bocca al presidente del Consiglio è diventato: non paghiamo le tasse e tiriamo su bagnetti mansardati nel serbatoio dell’acqua. Grande amatore, amante che fa cilecca: nel mondo berlusconiano il desiderio si spettacolarizza e il potere si trasforma nella possibilità di comprare tutto perché tutto è merce.
L’opposizione, in difficoltà, sostituisce alla politica gli scatoloni con i dieci milioni di firme: “Berlusconi, dimettiti” piuttosto che andare a ”vedere” il federalismo, la riforma della scuola, quella della giustizia. Intanto, le elezioni si allontanano. Il governo tiene, cementato dal numero di posti per sottosegretario che sono in palio.
Anche le donne, evidentemente, agitano la rivendicazione della dignità calpestata dal premier. “Una celebrazione del femminismo finisce con il diventare un’altra occasione di schierarsi pro o contro Berlusconi, come ormai quasi ogni manifestazione pubblica nel nostro paese” osservava Lucetta Scaraffia sul Riformista. Ma il problema non è la presa di posizione ideologica. E’ che Berlusconi cancella la memoria delle donne. Riempie le piazze, ma cancella la storia.