Per Repubblica e il Corriere della sera merita un trafiletto, per Libero è da prima pagina, con l’occhiello, polemico, “Italia svegliati” (27 dicembre): è la notizia che viene da Agnadello, vicino a Cremona, dove la vigilia di Natale un padre ha accoltellato la figlia che aveva una relazione con un uomo sposato.
La donna, che ha 32 anni, è grave ma sopravviverà. Il padre è un operaio di origine marocchina. Secondo Maria Giovanna Maglie il classico “buon padre islamico”. Come Omar che ha obbligato la propria figlia a seguire le lezioni di musica alla scuola media per quasi un anno con i tappi sulle orecchie. Per lui che è imam la musica è impura. Solo la mediazione della preside che ha spiegato come educazione musicale sia materia obbligatoria per la licenza media ha convinto il genitore bigotto (gentemergente.it).
Non è imam e non è islamico, bensì italiano e cristiano, l’ex fidanzato di Hina Saleem, la ragazza pakistana uccisa dal padre nel 2006 perché conduceva una vita troppo occidentale. Ebbene: è stato arrestato con l’accusa di stalking. Perseguitava l’ex convivente con violenze e continue minacce di morte e la notte di Natale ha cercato di entrare a forza nell’abitazione di lei (Bresciaoggi.it, 28 dicembre).
Su tutti i giornali la notizia del padre marocchino e quella del fidanzato di Hina, vengono accostate. Ma il carattere interetnico della violenza contro le donne non può rappresentare un alibi: c’è un problema peculiare che riguarda l’immigrazione e che non può essere annegato nella generica condanna del patriarcato.
Che l’islamismo tradizionalista legittimi i soprusi sulle donne, la loro subordinazione e segregazione, è un fatto. E di fronte ad esso c’è troppa ambiguità a sinistra, in nome dell’accoglienza e del rispetto delle diversità.
Per questo è particolarmente significativo che la rivista femminista Leggendaria apra il numero di novembre con un articolo di Mariella Gramaglia dedicato a Shenaz Begum. Shenaz, pakistana, è stata uccisa a mattonate dal marito per essersi schierata con la figlia, a sua volta aggredita e picchiata dai fratelli perchè rifiutava un matrimonio coatto.
Quella madre pakistana è un’eroina, scrive Gramaglia, “di lei vorrei onorare il nome nelle manifestazioni”. Solo loro, infatti, le madri, potranno fermare “l’arbitrio dei nuovi vassalli, dei clan, delle patrie immaginarie che varcano le frontiere della globalizzazione”.
E aiutare le figlie coraggiose come la quattordicenne, originaria del Bangladesh, che per sfuggire a un matrimonio combinato si è rivolta alla Questura (La Stampa, 22 dicembre). “Ho trovato il coraggio di farlo –ha detto- perché ho saputo di una storia di ribellione uguale alla mia”.