BURNING – L’AMORE BRUCIA – Film di Chang-dong Lee. Con Yoo Ah-in, Jeon Jong-seo, Steven Yeun, Corea del Sud 2018-
Chang-dong Lee è il regista di “Beoning”, titolo originale del film, uno dei più importanti registi coreani che insieme a Park Chan-wook (“Mademoiselle”, del 2016 e “Lady vendetta” del 2006) e a Kim Ki-du (“Ferro tre – La casa vuota” del 2004, “Primavera, estate, autunno, inverno e ancora primavera“ del 2003, “Pietà” del 2012) hanno fatto conoscere la cinematografia coreana nel mondo. Chang-dong Lee dagli anni 2003 è anche Ministro della Cultura e del Turismo dello Stato della Corea del Sud, che ha già trascinato al successo in vari festival cinematografici europei.
La vicenda è tratta dal racconto Granai Incendiati (nella raccolta L’elefante scomparso e altri raccontis) di Haruki Murakami, trasposta dal Giappone alla Corea del Sud di oggi. In questo film, forse non il suo migliore, Chang-dong Lee narra la storia di un triangolo sentimentale, di tre giovani, tre solitudini di diverse classi sociali, in un’attuale Corea in crisi, dove la contrapposizione città-campagna è molto forte ed è grande la forbice tra ricchi e poveri.
Jongsu è figlio di un contadino, ciononostante ha studiato letteratura e si è anche laureato. Il suo autore preferito è Faulkner e, curiosamente, la storia di Murakami ha lo stesso titolo di un romanzo di William Faulkner, un racconto che parla di rabbia. Il suo sogno è scrivere un romanzo, anche se ancora non sa cosa scriverà. È un bravo ragazzo, mite, introverso, con un padre che ha disturbi di comportamento e talvolta diventa improvvisamente irascibile e violento. Poiché non ne poteva più del marito, la madre di Jongsu se ne era andata quando era piccolo, abbandonando così lui e la sorella.
Jongsu lavora saltuariamente come fattorino e mentre sta facendo una consegna incontra Haemi, una sua ex vicina di casa di cui però si ricorda poco. Haemi è una ragazza estroversa e, al contrario di lui, è piena di iniziative, come lavoro fa pubblicità distribuendo coupon per le strade. Haemi ha messo da parte i soldi per fare un viaggio in Africa dove pensa di trovare i “grandi affamati” e cioè le persone che si pongono problemi filosofici sul senso dell’esistenza: «Non devi sforzarti di immaginare che quella cosa ci sia. Devi piuttosto smettere di pensare che non ci sia» suggerisce a Jongsu.
Si frequentano per un po’, Jongsu si innamora di lei e, mentre Haemi è in viaggio in Kenya va tutti giorni a dare da mangiare al suo gatto, che però non riesce mai a vedere.
Haemi torna e lo cerca, ma in viaggio, ha conosciuto Ben, un sorridente e ricco ragazzo coreano da cui è rimasta affascinata. Ben all’inizio si mostra affettuoso anche con Jongsu e si frequenteranno tutti e tre, pranzando in vari locali costosi, dove si recano con la Porsche Carrera di Ben, o nel suo appartamento ben arredato, in una ricca zona di Seoul. Ben, inoltre, ha uno strano hobby segreto: è un piromane che ama dare fuoco alle serre abbandonate.
Jongsu, nel frattempo è tornato a vivere in campagna nella casa del padre, finito in galera per una lite. Si occupa della stalla, dove è rimasta una sola giovane vitella di cui si prende cura.
Senza voler fare spoiler posso dire che il film, che dura due ore e mezzo, a questo punto cambia registro e si trasforma in un thriller. Di verità e finzioni, di bugie e sospetti è intrisa l’ultima parte del film in cui Jongsu, senza mai cambiare espressione, sembra prendere lentamente coscienza.
Attraverso una splendida fotografia, Chang-dong Lee ci mostra tramonti e panorami coreani, alternati a immagini metropolitane caotiche e disordinate. Ma forse ancora meglio delle immagini è la colonna sonora che, come diceva il mio compagno di cinema, è capace di evocare il profondo e martellante senso di angoscia che pervade tutto il film.
“Burning – L’amore brucia“ è un film sulle frustrazioni, sui desideri e sulle difficoltà dei rapporti familiari e sociali, come del resto il regista aveva già fatto nei suoi film precedenti creando una sovrapposizione nello spettatore fra la nobiltà di certi sentimenti considerati puri e l’accostamento con personaggi ai margini, misfit, mostrando in tal modo realtà ancora più solitarie. Così in “La luce segreta” del 2007, in “Poetry” del 2010, e in “Oasis” del 2002, vincitore del Premio FIPRESCI per l’audacia e il coraggio nell’esplorazione delle difficoltà della comunicazione.