DAVID HOCKNEY DALLA ROYAL ACADEMY OF ART – Film documentario di Phil Grabsky, Grand Bretagna 2017. Durata 85” –
Exhibition on Screen è il titolo originale del film-documentario del 2017 che racconta le ultime due mostre di David Hockney tenutesi alla Royal Academy di Londra.
Hockney è un pittore britannico ottantenne, un maestro del XX secolo, che da molti anni ha eletto la California come sua residenza. È stato un innovatore negli anni ’60 e ’70 diventando un autorevole esponente della Pop Art anglosassone. È inoltre fotografo, incisore, disegnatore, ritrattista e perfino scenografo. Negli ultimi anni ha introdotto l’uso dell’I-pad tra i suoi strumenti.
Nel film le interviste all’artista di Tim Marlow, Direttore Artistico della Royal Academy of Arts, sono inframezzate dai pareri dei critici d’arte Martin Gayford e Jonathan Jones, oltre a quello dell’artefice delle mostre Edith Devaney la curatrice del settore contemporaneo della Royal Academy.
La prima mostra – A bigger picture 2012 – è stata monografica sul paesaggio e Hockney ha dipinto appositamente i suoi quadri per quella occasione. Ad esempio le grandi dimensioni di alcune tele composite sono state progettate proprio per riempire la parete del museo. L’evento è raccontato molto bene, le immagini sono intense e i paragoni tra pittura open space e pittura a memoria è ben spiegata.
Qua e là emerge anche il privato di Hockney: la sua famiglia, il buon rapporto con le sorelle, la morte della madre. Ma anche altre morti che lo hanno addolorato come quella dell’amico Jonathan Silver, anche lui nato e cresciuto a Bradford nello Yorkshire.
La seconda mostra – 82 Portraits and One Still Life 2016 – narrata nel filmato è posteriore di qualche anno, anch’essa monografica, ed ha raccolto ben 82 ritratti + una natura morta.
Hockney ha ritratto molti amici e collaboratori tutti seduti su una pedana e sulla stessa sedia. All’elaborazione di ogni tela è stato dedicato un tempo limitato di 3 giorni, anche per non affaticare i modelli occasionali. Tele identiche nelle dimensioni, con scenario identico della pedana verde e sfondo azzurro (o viceversa).
È interessante vedere come un pittore che è stato trasgressivo come lui, abbia scelto un genere così desueto per esprimersi. Si era già cimentato nei ritratti nei quadri delle ville californiane dei ricchi – basti citare The Beverly Hills Housewife del 1966, ma qui elabora una sorta di catalogo di tipologie umane pieno di luminosità, sottolinea le differenze nella posa, nella scelta dei vestiti, nel sottolineare le scarpe tutte scelte liberamente dai soggetti ritratti.
Purtroppo questa seconda parte non è ben montata, risultando piuttosto ripetitiva e la traduzione in italiano (invece dei sottotitoli) non è precisa. Ad esempio, invece di luminosità o brillantezza, la parola light in un paio di casi è stata tradotta con “leggerezza”, un elemento che non mi pare faccia parte del repertorio hockneyiano. Ciononostante mi sembra meritorio divulgare le immagini di mostre che difficilmente molti di noi avrebbero potuto vedere.