“Basta con gli articoli sugli stupri e le trasmissioni televisive di inchiesta”: così inizia la lettera rivolta ai giornalisti e alle giornaliste da Marisa Guarnieri. Piuttosto, si legge, “presentatevi come testimoni informati dei fatti” (libreriadelledonne.it). Che è come dire “mettetevi in gioco” invece di enfatizzare l’orrore che già conosciamo.
Un appello- provocazione, se non venisse da una donna che è Presidente della Casa delle donne maltrattate di Milano e che da anni si confronta con donne umiliate, picchiate, violentate. Un appello che esprime il disagio, talvolta lo sgomento, provato in questi giorni da molte (in particolare quelle che si sono battute perché lo stupro divenisse reato contro la persona e non contro la morale) nel leggere i giornali e guardare la tv. Va in scena infatti un grande processo popolare dove la colpa della violenza è tutta dei giudici troppo clementi, delle leggi non abbastanza punitive e, soprattutto, degli stranieri.
E’ per questo che tante donne hanno lottato 30 anni fa?
Se lo chiede Lucia Annunziata su La Stampa del 28 gennaio. Me lo sono chiesta anch’io dopo essermi imbattuta in Domenica in del 1 febbraio: anche lì più galera e meno garanzie, questo il succo del dibattito condotto da Massimo Giletti. Nessun accenno alle ragioni profonde (e transnazionali) della violenza contro le donne. Neanche un barlume di autocoscienza da parte degli uomini.
C’è davvero il rischio, allora, che le donne tornino, in forma diversa, a essere “oggetto”, come scrive Annunziata?
Se “lo stupro indigna quando si carica di una battaglia più ampia”, (il degrado urbano, l’immigrazione senza regole), le donne non sono un’altra volta espropriate?
E’ infatti lo stupro in discoteca con corredo di droghe e alcol che fa scalpore, è quello del “branco” rumeno che mobilita (vedi Natalia Aspesi su Repubblica, 29 gennaio). Sembra che non ci sia alcun rapporto tra queste violenze “pubbliche”, di strada, e quelle private e familiari. Quelle compiute nel 69 per cento dei casi (secondo l’Istat) da mariti, fidanzati, padri e altri congiunti.
Eppure, nonostante le “vendette suggerite e invocate” e le “gogne mediatiche”, l’enfasi di questi giorni dimostra che “è cresciuta la sensibilità sociale”, che la violenza sessuale è diventata un atto “insopportabile” per la coscienza collettiva (Letizia Paolozzi, donnealtri.it). Trent’anni fa della vittima si sarebbe detto che “se l’era cercata”. E’grazie al femminismo che il clima è cambiato. Un cambiamento che, “come tutti i cambiamenti, ha i suoi lati oscuri”. Molto oscuri.