Dei suoi 63 anni Aung San Suu Kyi, la leader birmana premio Nobel per la pace nel 1991, ha trascorso gli ultimi venti per la maggior parte agli arresti domiciliari, su ordine della giunta militare che governa il suo paese. Una prova dura per questa donna elegante, dal profilo minuto, figlia di un eroe della resistenza ai militari, che ha vissuto molto tempo all’estero, e che regolarmente eletta nel suo paese non ha mai potuto governare.
Da dove trae la sua forza? E perché i monaci buddisti che poco più di un anno fa, tra l’agosto e l’ottobre del 2007, hanno stupito e commosso tutto il mondo con la loro azione di resistenza nonviolenta alla dittatura, vedono in lei la leader che li ispira? Ora che la ribellione è stata domata nel sangue dalla giunta militare, e che in Occidente è calato il silenzio, secondo la consolidata regola “niente immagini niente notizie”, è benvenuta la traduzione di La mia Birmania, una serie di conversazioni di Aung San Suu Kyi con Alan Clements. Un libro che nell’approfondire la visione e la vita interiore di Aung San Suu Kyi ne mette in risalto, come ha scritto il New York Times, «l’ironia, la cultura, la visione e la disponibilità e rende chiaro perchè è diventata una leader spirituale mondiale».
Il libro è il risultato di nove mesi di conversazioni avvenute dall’ottobre 1995 al giugno 1996, «ci vedevamo tre volte alla settimana» spiega Alan Clements, aRoma per presentare il libro, «lei mi ha posto una sola condizione, oltre la richiesta di riportare con semplicità e chiarezza le sue parole. Scrivi, mi ha detto, come se non ci fosse un’altra occasione, un’altra possibilità di vederci. La dittatura dispone della vita di tutti, mi ha ripetuto, non solo della mia ma anche della tua».
In effetti Clements è stato espulso dalla Birmania poco dopo e da allora nonostante vari tentativi non ha più potuto rientrare nel paese. Ex-monaco buddista, anche Alan Clements, che ha fondato un’associazione di supporto e sostegno alla Birmania, è stato ispirato dal messaggio politico di pace della leader birmana: «Lei è molto paziente, ha la speranza delle piccole cose. Vive la lontananza dalla famiglia, dagli affetti, dall’amore, la monotonia del cibo, la difficoltà di curarsi. Eppure ci ricorda sempre che le sue difficoltà sono niente di fronte alla durezza di vita dei suoi concittadini, la fame, la violenza che sono costretti a subire, tutti, compresi le donne e i bambini».
Le conversazioni tra Aung San Suu Kyi e Clements entrano in profondità, permettono di capire meglio la leader birmana. «Non ho mai imparato a odiare i miei carcerieri» dice in uno dei passaggi più illuminanti.
Le parole di amorevolezza e compassione della tradizione buddista diventano una visione che può ispirare anche la politica: «Lei ci dice che l’amore deve diventare pratica, amore in azione» spiega Clemente «e che politica e spiritualità hanno in comune la passione per la libertà e la dignità umana. La sua è la rivoluzione giorno per giorno, dei piccoli passi, dei piccoli cambiamenti. Oggi la situazione nel suo paese è peggio di 18 anni fa, quando l’ho incontrata. Ma come diceva Martin Luther King è solo nel buio che si vedono le stelle». Chiude il libro una “Cronologia essenziale della Birmania” aggiornata fino al giugno 2008.