IL CLIENTE – Film di Asghar Farhadi. Con Shahab Hosseini, Taraneh Alidoosti, Babak Karimi, Farid Sajadi Hosseini.
IL MEDICO DI CAMPAGNA – Film di Thomas Lilti. Con François Cluzet, Marianne Denicourt, Christophe Odent, Patrick Descamps. Fotografia Nicolas Gaurin –
Tra progresso e conservazione
Il cliente è un film molto intenso, duro, ben interpretato e ben diretto. Attraverso la metafora della disgregazione della coppia il film narra la disgregazione urbana e sociale della realtà iraniana a cavallo tra modernità e retrogradi retaggi culturali.
Emad (il bravissimo Shahab Hosseini) e Rana (la dolcissima Taraneh Alidoosti) sono due attori di teatro, affiatati sulla scena come nella vita, che devono lasciare improvvisamente il loro appartamento perché pericolante. Le vibrazioni della ruspa, nei lavori edili del lotto adiacente, hanno causato il crollo del loro edificio. Nel film è mostrata una Teheran attuale, laica, che continua a costruire palazzi fuori ogni regola, con materiali scadenti, senza controlli, al posto di frutteti e giardini.
Babak, uno dei loro compagni di teatro, gli offre un appartamento-mansarda (abusivo?) di due camere e un grande terrazzo. I due traslocano ma una stanza resta chiusa a chiave con gli effetti personali della precedente inquilina che, si scoprirà poi, aver avuto parecchi amici e/o clienti che la andavano a trovare.
Subito dopo i primissimi giorni, una sera Rana era a casa in procinto di fare una doccia mentre Emad si era attardato al teatro, e pensando fosse il marito, apre la porta a un cliente della precedente inquilina subendo una violenta aggressione. Quest’evento sarà l’inizio di una lenta e progressiva frattura tra la coppia. Lei, ferita sia fisicamente sia nell’anima, diventa paurosa e triste, piange spesso e non vuole restare più restare sola. Lui, ferito nel suo orgoglio di maschio, è ossessionato dalla vendetta. All’inizio vuole andare alla polizia ma lei non ha voglia di affrontare i volti e le inquisizioni dei poliziotti, allora si mette a investigare da solo.
A teatro si recita Morte di un commesso viaggiatore, di Arthur Miller del 1949, che in qualche modo critica i valori del sogno americano e della società statunitense alla soglia del consumismo (non a caso il titolo originale del film è The Salesman). Tra una prova e l’altra la sintonia della coppia si altera anche on stage.
Il film rappresenta molto bene il cambiamento progressivo di Emad, delle sue due anime di cui man mano una ha il sopravvento sull’altra: da gentile e premuroso marito a uno vendicativo e distaccato, da moderno e tollerante professore di scuola a uno punitivo e autoritario. Toccato e offeso nella sua intimità, Emad sfoga la sua frustrazione con aggressività verso tutti ed è totalmente incapace di stare vicino a colei che è stata realmente violata, né tantomeno di comprendere lo shock che ha subìto.
Il film ha un bel ritmo in crescendo e riesce a trasmettere una buona dose di suspense. Il regista iraniano Asghar Farhadi è stato già premiato con un Orso d’Oro a Berlino e l’Oscar 2013 per miglior film straniero con Una separazione. A Cannes 2016, Il cliente, ha già ottenuto il premio per la miglior sceneggiatura e per la migliore interpretazione maschile.
Una lezione di umanità
Il film Il medico di campagna mostra una zona rurale della Francia del nord dedita prevalentemente ad agricoltura e a pastorizia. Siamo a Chaussy, una piccolissima cittadina di neanche 700 anime nella Val-d’Oise, al confine con la Normandia. Jean-Pierre Werner (un bravissimo François Cluzet) è un medico condotto cinquantenne che si occupa da solo di tutti i malati della zona, di cui molti curati a domicilio. Quindi, dopo l’orario di ambulatorio, Jean-Pierre deve percorrere parecchi chilometri per raggiungere tutti i suoi pazienti nelle case agricole sparse, talvolta anche di notte, con il fango nelle strade sterrate e con il cattivo tempo. Il ruolo del medico di campagna è anche quello di supplire all’assenza di strutture ospedaliere: fa radiografie e interventi di ogni genere. I suoi pazienti lo amano molto e si sentono rassicurati dalla sua presenza umana piena di attenzioni.
A un certo punto Jean-Pierre scopre di avere un tumore al cervello e deve seguire i protocolli del caso, iniziando con la chemioterapia. Il suo amico oncologo gli suggerisce di prendere un aiutante per il suo ambulatorio e gli manda Nathalie Delezia (un’affascinante Marianne Denicourt), una non giovanissima e determinata dottoressa con esperienza principalmente di pronto soccorso.
La storia in sostanza è tutta qui, nella descrizione del rapporto tra i due medici. All’inizio il più esperto e maturo Jean-Pierre è contrariato dalla presenza di Nathalie e la mette in imbarazzo dandole casi difficili (o umanamente o in luoghi difficili da raggiungere), poi man mano comincerà ad apprezzarla fino a che la reputerà indispensabile, specialmente nelle emergenze. La vicenda umana narrata nel film, in fondo, è un pretesto per uno squarcio sulla provincia francese, dove sembra che la società del consumo debba ancora arrivare e che la mentalità contadina sia conservatrice e antiprogressista. Sembra quasi impossibile vedere un medico che elabora manualmente le schede dei pazienti senza l’ausilio di un computer. Il medico di campagna, inoltre, presenta una galleria di tipi umani: il giovane ritardato (ma forse autistico?), la ragazza giovane e incauta che si fa sottomettere dal suo compagno, l’anziano signore che vuole morire a casa propria e non vuole finire in ospedale, e perfino gli affaristi che vorrebbero investire nella sanità solo per trarne profitto.
Una cosa che mi ha stupito un po’ del film è la festa campagnola in costume da cow-boys con musica americana country-folk organizzata dal sindaco di Chaussy: l’idea che un modello americano possa essere emulato in Francia mi meraviglia. È stato scelto, inoltre, “Halleluja”, il brano di Leonard Cohen, poeta cantautore canadese scomparso da pochissimo, a simbolo di un’idilliaca arcadia.
Il regista Thomas Lilti è un quarantenne, ex medico internista, al suo secondo film che parla di medicina. Forse gli piace indugiare un po’ troppo sul dettaglio dei corpi, sulle cure prestate, però è evidente che crede in un rapporto empatico tra medico e paziente. Viceversa nel film non c’è nessun indugio al piacere del paesaggio della campagna francese né c’è spazio per la piacevolezza delle case in pietra d’Oltralpe.