Probabilmente suonerà un po’ altezzoso parlare di una giornata, quella del “Manifesto alla sinistra“, essendo io “tra le femministe del mercoledì“ che hanno/abbiamo lavorato a realizzarla.
Ne parlo solo per tirare fuori alcuni punti che mi girano in testa.
Intanto, c’è una pratica politica, quella separata, che il femminismo mise in campo e che non si è mai interrotta. Ma non c’è una pratica politica di donne e uomini. Nonostante io abbia ascoltato interventi pensati e sensati di Alberto Leiss e Gennaro Migliore.
Non c’è questa politica per “colpa“ dei partiti e dalla loro organizzazione: troppo tradizionale, troppo centrata sui maschi. Ma dipende anche dallo scarso desiderio che hanno le femministe di mischiarsi ai maschi. Ci sono momenti di separatismo e momenti misti.
Tutto questo pesa. Eccome. Nel senso che impedisce di cogliere i cambiamenti intervenuti.
Una vicenda come quella della coppia di musulmani francesi non solo ha ritirato fuori parole come verginità e onore, ma si è allargata alla imenoplastica, operazione molto più estesa di quanto si potesse supporre e capace, con modica spesa, di tranquillizzare un marito geloso, o di offrire al fidanzato il “piacere“ di essere il primo. Chi si aspettava che tra le nostre sorelle ce ne fossero desiderose di apparire “born again“?
Ma anche senza trattare di questi complicati meandri della società, dove la religione e la secolarizzazione sembrano venirsi mostruosamente incontro, pochi si sforzano di leggere quello che è accaduto nel lavoro femminile?
Qualche bel film (“In questo mondo libero…“ di Ken Loach o “Non andare via“ di Anna Negri); qualche libro (“lavoro e maternità Il doppio sì“ a cura della Libreria delle donne di Milano o “Perché il lavoro delle donne farà crescere l’Italia“ di Maurizio Ferrera ). In generale non si va al di là di una discussione sullo sfruttamento, la debolezza, la precarietà dell’occupazione femminile.
Nella politica e agli occhi di uomini e donne delle organizzazioni politiche, del sindacato, le trasformazioni restano invisibili.
Il guaio, in effetti, sta proprio qui. Nel modo in cui ha giocato una certa idea dell’emancipazione femminile. Emancipazione che si è conclusa (vittoriosamente) all’incirca quando è caduto il Muro di Berlino. Le donne a quel punto volevano tutto: affetti, sentimenti, lavoro, carriera. Insomma, avevano “voglia di vincere“.
Cosa risposero gli uomini di questa parte politica? Volete diventare, anzi, volete essere come noi maschietti e noi vi proponiamo di includervi, di trovare delle belle regolette (quote, norme antidiscriminatorie, ecc.), così vi date una calmata.
Molte, però, non avevano alcun interesse a imitare i giovanotti. Si allontanarono. La separazione era cominciatala dopo il Sessantotto ma questa è altra vicenda.
Non che le donne dei e nei partiti siano scomparse. Però ne seguono le sorti. Le mie amiche del “gruppo del mercoledì“ escono dal Parlamento assieme alla ex Sinistra-Arcobaleno.
Quelle del Pd, per quanto capisco, non si pongono neanche il problema di una qualche pratica politica. Non si vedono in giro, non hanno curiosità. Non hanno voglia di incontrare altre donne, di discutere, di azzuffarsi. Tutto un chiudersi dentro i confini dati dal loro partito. Il quale partito, essendo molto incerto sul da farsi, quei confini non sa neppure indicarli alla sua componente maschile.
Qualche dirigente o intellettuale della sinistra ci assicura che lui apprezza molto la pratica politica delle donne. Però, da Negri a Tronti, da Tortorella a Bertinotti, non va molto al di là di complimenti e svirgolate formali.
In una proposta alle Democratiche, la dirigente cattolica Paola Gaiotti rivendica “l’elemento di novità più forte, quel 50% di donne proposte nelle liste delle primarie e elette negli organi costituenti del Partito Democratico“.
Secondo me, è un altro segno del poco amore per la libertà femminile di quelle donne. Un accontentarsi, uno stare ai limiti posti (e imposti) da chi “mette le donne“ nell’Esecutivo nazionale, nelle Commissioni dello Statuto, della Carta dei Valori, del Codice Etico.
“Questa presenza – continua Gaiotti – è stata largamente smentita, oltre che fra le candidature a segretario regionale, nella scelta dei coordinatori provinciali. I numeri elefantiaci delle direzioni locali hanno svuotato la loro funzione decisionale a favore di gruppi ristretti non elettivi, sostanzialmente maschili“.
Così si torna al punto di partenza. La parità dei sessi spesso significa per le donne rinunciare a essere audaci e non conformiste. Significa stare lontane dalla realtà che cambia
Ma c’è anche un altro pasticcio
. L’ha combinato quella donna decisa e per solito brava che corrisponde al nome di Emma Bonino. Emma ha pensato di voler contestare il gossip, giocando con lo scoop (falso) di un proprio innamoramento, per ricordare (su un giornale “gossipparo” come notava giustamente Maria Laura Rodotà sul Corriere della Sera) che esistono argomenti più seri. La nobiltà della politica contro la meschinità dei sentimenti? Però le donne non hanno mai considerato innamorarsi (a venti, sessanta, ottanta anni) una meschinità. Anzi, una loro scoperta era stata che “il personale è politico“. Novità grossa, foriera di trasformazioni nei modelli di comportamentto, nei rapporti tra uomini e donne, in un modo diverso di intendere la politica. Ma anche questa novità sembra essere stata dimenticata. O addirittura non capita.