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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Coraggio, politica e femministe

18 Giugno 2008
di Bia Sarasini

Discutere liberamente di politica e di sinistra a partire dalla sconfitta e dal vuoto che ha rivelato. È l’invito che le femministe del “gruppo del mercoledì”, di cui faccio parte (con, tra le altre, Fulvia Bandoli, Rosetta Stella, M.Luisa Boccia, Elettra Deiana, Luana Zanella, Letizia Paolozzi, Bianca Pomeranzi, Isabella Peretti, Stefania Vulterini, Paola Balducci), rivolgono a tutte e tutti coloro che hanno a cuore la politica e il destino del nostro paese.
Un’assemblea prima della stagione delle assemblee e dei congressi che si preparano, da Sinistra Democratica a Rifondazione Comunista, compreso quel Partito democratico il cui corpo elettorale e politico ha compreso da tempo, ben prima dei suoi dirigenti, che il fallimento lo riguarda direttamente, che la sconfitta è di tutta la sinistra, non solo di quell’area, che ancora ci si ostina a chiamare radicale, cancellata dal Parlamento.
L’idea è che assemblee e congressi in questo momento non servono a molto.

Forse a farsi coraggio, a convincersi di essere vivi. Ma più coraggio ancora ci vorrebbe, mi sembra, a guardare direttamente quel vuoto in cui tutti siamo immersi, che toglie la parola e impedisce di formulare proposte che non siano la ripetizione di un repertorio reso vuoto e inerte proprio dalla vastità e profondità della sconfitta. È un nuovo assetto, sociale, politico e soprattutto di orizzonti, di idee e valori quello che ci si rivela giorno per giorno. Il nuovo governo non si limita a ripetere il vecchio, si muove con inventiva devastante. E noi, tutta la sinistra insisto, ci troviamo afasici, incapaci di rimettere in fila i discorsi, di dare senso alle nostre convinzioni.

Bisogna partire da qui, con forza. Riconoscere che le nostre analisi sono vecchie, o astratte. Che per esempio si è fatto una bandiera del lavoro precario, ma poco e nulla si sa di chi sono, questi precari. Se sono donne o uomini, che cosa cambia essere di un sesso o dell’altro, nel lavoro e nella vita che intorno al lavoro si costruisce. E quali orizzonti, quali speranze è possibile mettere in gioco, quali desideri e ambizioni guidano l’esistenza di chi sa che non avrà mai un lavoro fisso. E come in queste concrete, materiali esperienze si possano trovare i fili comuni che possono tessere il progetto, il sogno. Trovare, in questo mondo di individui separati, senza legami, disperatamente isolati in vite minimali, la visione che permetta di declinare un nuovo noi, il noi che parte da se stesse/i, che non si annulla nella deresponsabilizzazione dell’affidamento a una pretesa volontà comune.

C’è molto da pensare, da capo, di nuovo. Per questo occorrono piccoli passi, il coraggio radicale delle piccole cose.

Non si tratta di mettere in discussione la stagione dei congressi, percorsi già stabiliti. Ma mettersi di traverso, sì. Con l’intuizione che siano in molti e in molte, fuori dal recinto della politica, a condividere questa esigenza. Non credo che sia la verticalità delle strutture e delle alleanze, di una rappresentanza ricostruita secondo le vecchie formule, a dire quale sarà la nuova politica. Non sarà la decisione di come e con chi presentarsi alle elezioni europee a dare argomenti convincenti per eventuali elettori. Mi sembra un modo di procedere molto somigliante a quel chiamarsi l’un l’altro per nome quando succede di trovarsi all’improvviso al buio, e ci si vuole rassicurare di non essere soli, che si è tra amici. Capita che questo la facciano soprattutto gli uomini della politica, anche di quei partiti, di quei movimenti che scrivono nei loro statuti nuovi di zecca che il femminismo è una cultura politica di riferimento. Ma che vuol dire?

È un gesto audace e libero, quello delle femministe del gruppo del mercoledì. Perché propone rimescolamenti inediti, rompe la separatezza e l’astrazione di una società concepita come settori, spezzoni da contare e rappresentare accuratamente divisi gli uni dagli altri. Una mescolanza che riporta la politica nella vita. Forse ci si sporca le mani, si sarà meno forbiti e ci saranno interventi non preordinati e prestabiliti. Una buona occasione da cogliere al volo. Chissà, forse si riuscirà a parlare sul serio di una politica che parta dal basso, dalle persone che ci sono, dalle relazioni che le legano, dai concreti, piccoli impegni e responsabilità che possono assumersi. Sembra poco, è moltissimo.
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