L’assemblea di Roma del 12 gennaio mi ha dato una sensazione positiva: tante donne di ogni età, moltissimi interventi, numerosi i gruppi che “si nominavano”. Insomma, tenuto conto che si parlava di argomenti non proprio allegri, la vivacità mi sembra un dato importante.
La maggioranza degli interventi riguardava l’outing: dopo la manifestazione del 24 novembre contro la violenza sulle donne c’è un forte bisogno, da parte del gruppo che l’ha organizzata e delle numerosissime altre, di dire chi sono e cosa vogliono (autodeterminazione e una lunga serie di no, soprattutto riguardo la violenza e l’aborto, come è ovvio).
Quello che ancora non vedo è un agire che interloquisca con la politica. Perché, se è pur vero che esiste l’antipolitica e che va molto di moda, ma al momento non mi sembra che abbia portato grandi risultati (vedi grillismi e giù di lì). Sarei felice di vedere differenze in questo giovane movimento che però accorpa vecchie pratiche e anni di esperienze e produzione di pensiero delle donne che non hanno mai smesso di lavorare su loro stesse e sul resto del mondo, alla faccia di chi si stupisce di tanto “nuovo” attivismo.
Una volta a sostanziare il pensiero delle donne c’era il pensiero politico, con tutte le sue contraddizioni, come il sessismo denunciato dalle donne che lavoravano di più all’interno dei partiti. Oggi mi sembra solo di vedere pericolosi rischi di strumentalizzazione e poco sostegno, mi sbaglierò (salvo eccezioni rare). Alcune amiche mi ricordavano la giovane età delle signore di controviolenzadonne.org e di molte hanno bisogno di tempo per dire chi sono, scegliere come associarsi, quali pratiche preferire e poi organizzare le strategie.
Ma non c’è tutto questo tempo a disposizione. Prendiamo il caso più eclatante: se Giuliano Ferrara propugna una moratoria per l’aborto concordo con il fatto che non bisogna alimentare il suo fuoco, ma se i deputati di Forza Italia portano in parlamento la sua proposta, allora la cosa mi/ci riguarda e devo trovare una strada, creare una rete con chi in parlamento e soprattutto nelle commissioni ci sta tutti i giorni. E anche con le donne che sono nelle amministrazioni locali (vedi questione consultori e presidi sanitari per aborto e RU486). L’esperienza delle reti femminili ai sud del mondo dimostra che questo tipo di attività è il principale risultato della politica delle quote (nel senso che dove le donne sono più rappresentate non migliorano ahimé le statistiche riguardo violenze e sfruttamenti, ma consentono vivacità e presenze femminili nel dibattito generale, rilevanza mediatica e partnership forti nei settori pubblico-privato).
Non c’è tempo dunque. Biografie, autoriconoscimento, pratiche e azioni. Per cercare di fare tutto contemporaneamente, o almeno provarci, il confronto con altre generazioni, con gli uomini quando serve (continuo a ritenerlo fondamentale), con spazi formali e informali, diventa indispensabile.
PS. Un’ultima osservazione. La comunicazione dovrebbe migliorare. Capisco che il volontarismo di chi ha il merito di organizzare manifestazioni e seminari,ma almeno la rete potrebbe funzionare meglio, per esempio portare un paio di computer portatili agli incontri, per postare i blog in tempo reale e inviare immagini e file audio. Che ne dite?