Pubblicato sul manifesto il 6 ottobre 2014 –
La guerra e la violenza sarebbero originariamente connesse per l’uomo “alla possibilità di identificare ed essere identificato come sesso, superando così, mediante una prova esterna, l’ansia interiore per il fallimento della propria virilità. Ma noi ci chiediamo cosa è questa angoscia dell’uomo che percorre luttuosamente tutta la storia del genere umano e riconduce sempre a un punto di insolubilità ogni sforzo per uscire dall’aut-aut della violenza”.
Sono parole di Carla Lonzi, che ho riletto nell’ultimo libro di Maria Luisa Boccia (Con Carla Lonzi. La mia vita è la mia opera. Ediesse 2014) e che da moltissimi anni continuano a interrogarmi sulla radice del “lato oscuro” della politica e della vita maschile che ha a che fare con quel nesso tra virilità, violenza, potere.
A Roma, alla Casa internazionale delle donne, nei giorni scorsi, si è discusso intensamente della violenza maschile contro le donne. Venerdì un incontro promosso da due soggetti femminili – Il Cortile (consultorio di psicanalisi) e Ponte Donna – con la partecipazione delle istituzioni locali che cominciano a affrontare il problema rivolgendosi anche agli uomini autori di violenza. Sabato un convegno nazionale (“La violenza maschile sulle donne al di fuori dell’emergenza”) organizzato da tre altre realtà: DIRE, l’associazione nazionale dei centri antiviolenza gestiti da donne, Maschile Plurale, rete in cui si riconoscono uomini impegnati a contrastare la cultura della violenza, e LeNove, gruppo di ricercatrici che ha effettuato una prima indagine sui centri, i gruppi e i servizi che da qualche anno anche in Italia prendono in carico uomini che hanno agito violenza ( Il lato oscuro degli uomini – Ediesse 2013).
Ci vorrebbe molto spazio per riassumere i tanti punti problematici affrontati: dalle diverse metodologie di intervento, alla scarsità di risorse pubbliche, al rischio di nuovi conflitti tra chi si rivolge alle donne vittime e chi si occupa dei maltrattanti. Al significato politico più generale che assume oggi questo tema.
Qui solo pochi appunti personali.
E’ giusto respingere l’”emergenzialismo” che porta a soluzioni prevalentemente repressive e a considerare unicamente come “patologia” individuale le violenze private, domestiche, che sono invece sintomo di una cultura diffusa e ancora ampiamente condivisa.
E tuttavia la violenza maschile è una “emergenza”, nel senso che è finalmente “emersa” la sua gravità e intollerabilità sociale. E’ un’emergenza profonda, radicale, simbolica. La violenza esplode e implode intorno a noi (e anche dentro di noi). E – mi ha fatto notare Rosetta Stella nel corso del dibattito – non siamo più capaci a simbolizzarla.
Ci parlano di questo i delitti orribili in cui sempre più spesso il maschio messo in discussione uccide la donna, i bambini, e poi se stesso. Ma anche, ai miei occhi, la guerra combattuta con l’enfasi mediatica sul martirio di ostaggi innocenti da una parte e con le bombe teleguidate dall’altra. (Fa riflettere il fatto che i media oggi riscoprano l’onore e l’eroismo virili perduti nel corpo a corpo con l’Isis delle miliziane kurde).
C’è però un fatto nuovo, che poteva essere colto otticamente nella affollata sala romana: una presenza maschile che non vuole allontanare da sé la questione. E il crescere di relazioni e collaborazioni tra donne e uomini, certo alla prova anche di conflitti molto difficili.
Se uno scambio vero sarà possibile a partire proprio dal terreno più arduo, forse ne verrà un cambiamento più vasto e profondo. Capace di farci finalmente intravvedere la possibilità di una vita oltre l’aut-aut della violenza ?