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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Conflitto tra generazioni e differenza

14 Ottobre 2013
di Letizia Paolozzi

Riuscirà il figlio a prendere il posto del padre? Se i protagonisti più noti del sanguinoso “romanzo famigliare” sono Laio e Edipo, padre e figlio, per metonimia, finiranno per indicare un patto mancato, un ricambio impossibile tra la generazione dei giovani e quella dei vecchi.
La questione di chi ha il potere e di chi vuole prenderselo sembra messa a tacere da “una società senza padre” (dello psicoanalista Alexander Mitscherlich). Oppure, recentemente, dall’ ”evaporazione del padre” (dello psicoanalista Massimo Recalcati). Il parricidio (perlomeno simbolico) allenta la presa.
D’altronde, molto è cambiato proprio sulla scena del potere. Preso a spallate il Muro, destra e sinistra annaspano. Un concetto come quello di popolo passa dalla sinistra alla destra e viene ribattezzato populismo. Tramontate le grandi narrazioni, la crescita si arresta mentre la politica non sa rispondere alla crisi. Dipende dal crollo dell’autorità maschile? Da un lato spariscono il senso di responsabilità, il Super Io, le regole e la disciplina. Frantumati i codici tradizionali, ecco s’avanza “una società orizzontale”. Senza età, senza differenza di sesso e d’età, la madre imita le figlie (vedi la genitrice addetta al Karma in “Bling Ring”). Dall’altro, nei partiti, è assalto all’establishment. Espugnato (nel Pd) dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che scommette sulla “rottamazione” ovvero sul rinnovamento per via anagrafica. Certo, il tema del ricambio generazionale esiste. Peccato che tra maschi venga affrontato in modo così sguaiato. Attraverso conflitti portati avanti senza cura. Per non parlare del Pdl e di Silvio Berlusconi che, da padre immobile e onnipotente, si era immaginato una successione finta, addomesticata. Successione che gli si è rivoltata contro.
Cosa accade invece nel passaggio tra generazioni di donne? Per essere più precisa, c’è un modo di restituire l’eredità (simbolica) ricevuta dal femminismo, modificandola perché non si irrigidisca nelle Tavole della Legge ma senza perdere i guadagni ottenuti dalla pratica politica (il partire da sé, dal quotidiano, le relazioni, l’importanza del corpo)?
A Paestum, nell’incontro “Libera ergo sum” è andato in scena questo interrogativo. Alcune hanno cercato di tenere insieme soggettività femminile e condizioni materiali di vita; altre (le F9, le femministe nove) hanno risposto srotolando sul palco (vuoto) lo striscione “Stato di eccitazione permanente” e leggendo un testo collettivo. Con sprezzo del pericolo giacché il muoversi insieme corale, comunitario riduce a unità la varietà di voci e di esperienze.
D’altronde, si può capire. Le F9 vogliono essere figlie di se stesse. Senza gratitudine e senza dipendenza dalle femministe “storiche”. A costo di passare sopra alla cura delle relazioni e all’intensità degli scambi. In questo modo però sarà difficile trovare nuove definizioni del lavoro, del salario, della cittadinanza sociale e della vita precaria capaci di trasformare una realtà che non ci piace. Che non piace alle donne venute prima e a quelle più giovani. Anzi, a guardare bene, non solo alle donne, ma anche agli uomini.

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