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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Donne in Parlamento, non vedo novità

14 Febbraio 2013
di Elettra Deiana

Intervento all’incontro di Bologna del 9 Febbraio. “Donne,vite,politica: Cosa cambia?”. Altri interventi, oltre a questo, anche sul blog di Paestum 2012:  Laura Cima,  Anna Picciolini,  Maria Grazia Campari. –

Il tema, “ democrazia e rappresentanza” al centro di questo incontro, è di quelli epocali, da brivido. Per  questo, per prima cosa, bisognerebbe fare i conti con il contesto, uscire dall’incanto e dai mantra della bolla autoreferenziale, dentro la quale è facile trovare rifugio e sentirsi legittimate a ripetere le formule di una vita.

Siamo ormai non più soltanto al declino ma a un vero e proprio decadimento, forse irreversibile, di quel sistema fondato sul nesso rappresentanza/democrazia che ha caratterizzato la modernità e soprattutto il Novecento: la sua storia, le sue tragedie, i suoi eroismi, la sua vocazione. I termini non sono coincidenti – una cosa è la rappresentanza, un’altra la democrazia – ma noi li abbiamo conosciuti come coincidenti, la stessa cosa – la “rappresentanza democratica”, diciamo ancora –  e ad essi, a quei termini,  era collegata come intrinseca l’idea del Welfare State, degli obblighi sociali dello Stato verso i suoi cittadini. La Costituzione italiana ne porta il segno inconfutabile. E per una fase la storia è stata questa. L’abbiamo criticata da un punto di vista femminista – spesso acutamente, oltre che giustamente – ma siamo ancora là, mentre tutto non c’è più.

Tutto è oggi in dissolvenza. Si moltiplicano a questo proposito le analisi giornalistiche e specialistiche.  Ma lo possiamo avvertire a partire da noi, se soltanto mettiamo insieme le cose, se soltanto diamo un nome alle cose.

Per questo a me pare del tutto fuori posto, più che mal posto, l’accento sulla novità che sarebbe rappresentata, a seguito delle imminenti elezioni politiche, dal probabile incremento della presenza femminile nel Parlamento della Repubblica italiana. Novità in che senso? Rispetto al numero delle candidate? Rispetto alle pratiche messe in atto per l’obiettivo? Rispetto al senso che questo incremento assume se guardiamo alla crisi?

In nessun senso. Mi pare arduo sostenere il contrario: farlo non sarebbe altro, a mio giudizio, che una formula di rassicurazione.

Non è una novità da registrare come tale né l’esito di chissà quale audace pratica femminile, che ci trasmetta almeno l’illusione femminista che qualcosa si possa davvero fare; né soprattutto un risultato che possa modificare il giudizio da dare sulla crisi della democrazia e della rappresentanza. Sta, questo probabile esito, tutto come una coda di pesce dentro le dinamiche storiche e i processi politici, sociali, culturali  che hanno caratterizzato la seconda metà del Novecento e oggi si esauriscono o sono già esauriti, mentre per un gioco di illusione sembrano espandersi; processi che in Italia sono stati, è vero, più lenti che altrove, ma che fanno inconfutabilmente parte anche della vicenda italiana: l’emancipazione e il crescente protagonismo delle donne, il loro desiderio di ruolo pubblico e di rapporto tout azimut col mondo; e  il femminismo e gli sbaragliamenti in tutti i sensi che esso ha operato; e  la fine del patriarcato con l’annessa caduta di legittimità del simbolico maschile ma anche  il moltiplicarsi di insopportabili patriarcalismi di ritorno e/o di, ahinoi, nuovo senso e sentimento, mentre va in malora il potere effettivo della politica maschile – sempre per altro dominante nel rapporto tra i sessi – ma anche si evidenzia il moltiplicarsi dei trucchi  messi in atto dalle filiere maschili per restare in sella e non farsi sottrarre lo scettro.

Uno scettro che serve sempre meno a decidere le sorti del mondo – il potere effettivo della politica è in fuga verso altri lidi – e sempre più a occupare posti di vantaggio e privilegio personale. La politica dei Palazzi e dei Palazzetti.

Dentro le dinamiche del periodo che viviamo, dunque, ma anche dentro la crisi che viviamo: così leggo quel probabile esito. Auspicabile ovviamente ma come auspicabili sono per me i fatti anche minimi che producano qualche aggiustamento favorevole  sul terreno della giustizia e dell’equità. Per questo non ho mai fatto battaglie campali contro le quote, le norme antidiscriminatorie, il cinquanta e cinquanta. Le donne trovano i mezzi per realizzare i loro desideri. Bisognerebbe forse vedere di che desideri si tratti ma questo fa parte della loro libertà, mai assoluta e sempre prigioniera della complicità col o della subalternitàal maschile.

Per queste ragioni quell’esito  possibile è soprattutto da leggere nel contesto, tra le righe e nelle pieghe della crisi della democrazia rappresentativa e della politica, di cui fa parte e di cui è espressione, forse in qualche misura contraddittoria, come spesso tutto ciò che ha a che vedere con le donne e la loro differenza; ma non estraneo, perché  la differenza non è andata avanti a produrre differenza politica, dopo il mitico, ormai datato e irrepetibile “è già politica”. Piccole differenze sì, forse, a fronte delle grandi sul piano della vita. Ma fino ad oggi neanche in grado, le donne da nessuna parte, di trarre dalla propria vicenda storica, dalla propria esperienza umana, dalla spiazzate antropologia dei rapporti con l’altro sesso che il femminismo ha così acuminatamente analizzato e decostruito,  idee, proposte, forza per spostare l’ordine del discorso e quello delle cose, soprattutto.

Che cosa mi aspetto dalle donne che entreranno in Parlamento? Davvero niente. So che le pratiche che hanno condotto a questo incremento di presenza femminile sono per lo più ingannevoli,  si realizzano tra le pieghe di benevolenze e concessioni maschili, maggiori oggi rispetto a ieri perché la politica maschile è ai minimi storici della sua credibilità; e si realizzano anche grazie a quei meccanismi che molta parte del femminismo italiano ha criticato: quote, norme antidiscriminatorie, cinquanta e cinquanta, che i leader dei partiti inalberano come farina del proprio sacco. E so che le migliori intenzioni di questa o quella candidata avranno a che fare col deperimento assuefante dell’istituzione, con i limiti di vincolanti intrecci politici, con la caduta di fiducia popolare verso la rappresentanza. La fiducia negli attori della democrazia rappresentativa, dicono i sondaggi e le analisi, è ridotta ai minimi storici. Non solo i partiti ma lo stesso Parlamento che solo il 7% degli italiani ritiene credibile mentre solo il 22% ha fiducia nello Stato, sette punti in meno in un anno, in caduta libera dal 2005.

Se c’è una cosa che mi aspetto è che le donne, a partire dalle nuove generazioni femministe, riprendano parola autentica sulle cose, ricolleghino i corpi alle condizioni materiali, i desideri ai progetti, le intenzioni critiche alla riscoperta dei conflitti, il simbolico a un radicale spostamento del simbolico, che metta insieme donne e uomini nell’avventura della vita e nella scommessa della politica.

Impresa ardua, come ci dovrebbe essere chiaro. La politica ha perso la ragione fondativa e costituente che l’aveva fatta nascere e resa insostituibile nella modernità: ha essa stessa promosso il comando dell’economia sulla politica, sulla società, sulle vita delle persone. Dal primato della politica al primato dell’economia.

Mi aspetto che se ne parli.

 

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