Marisa Ombra, “Libere sempre”, Einaudi, Torino 2012.
Qual è il dono più prezioso che una signora di ottantasette anni può fare a una quattordicenne? Il dono della sua esperienza, non c’è dubbio. Questo deve aver pensato Marisa Ombra quando si è messa a scrivere la sua lunga lettera a una ragazzina che a lei sembra cresciuta improvvisamente, quasi a insaputa di chi le vuole bene. Un giorno la scorge in un prato di Villa Pamphili e pensa: “E’ venuto il momento di scriverti, non posso più rimandare.”
Ma più che una lettera, “Libere sempre” è un intimo vagabondaggio tra passato e presente, tra i ricordi della propria giovinezza e i problemi dell’oggi. Torna così alla memoria il tempo della resistenza partigiana e, assieme, il tempo doloroso dell’adolescenza, segnata dall’anoressia. E torna la paura, il dubbio tipico dei giovani sulla propria capacità di affrontare il futuro. “A ben vedere”, conclude Marisa Ombra, “tra la tua generazione e la mia, c’è più di un punto di contatto. Entrambe si sono trovate in mezzo a un mondo cosparso di abbondanti rovine.” Ma le ragazze di oggi hanno quello che le ‘ragazze del secolo scorso’ non avevano: istruzione, conoscenza, possibilità di spaziare oltre i confini nazionali. No, non è il caso di disperarsi: il futuro, per queste adolescenti, è appena cominciato.
Ricordo Marisa Ombra quando compariva nella redazione di ‘Noi Donne’, in qualità di presidenta della cooperativa ‘Libera Stampa’, editrice della rivista. Così bionda ed esile, sembrava fragilissima. E invece, anche allora, era una signora di ferro. Algida e tuttavia passionale. Proprio come la sua scrittura.