IL CASO BELLE STEINER – Film di Benoît Jacquot. Con Guillaume Canet, Charlotte Gainsbourg, Kamel Laadaili, Patrick Descamps, Jérémie Covillault, Anne-Lise Heimburger, Fabio Zenoni, Salim Kechiouche, Pauline Nyrls, Aïssatou Diallo Sagna. Fotografia di Caroline Champetier, musiche di Bruno Coulais, sceneggiatura di Benoît Jacquot e Julien Boivent.
Il film è tratto da un romanzo di Georges Simenon intitolato “La morte di Belle”, ambientato in Connecticut nel 1952. Simenon aveva chiamato i suoi romanzi senza il commissario Maigret, romans durs – tradotti in italiano come “romanzi neri”. Questo film di Benoît Jacquot non è la prima trasposizione cinematografica – c’era stato il regista Édouard Molinaro che aveva diretto “Chi ha ucciso Bella Sherman?” nel 1961 e Denis Malleval il film televisivo “Jusqu’à l’enfer”.
Il film è un thriller psicologico che ci mette di fronte alla lotta tra verità e apparenza, innocenza e colpa, senza fornirci risposte scontate. Ed è proprio lì, in quella tensione continua, che si cela il segreto. Il film scritto da Benoît Jacquot con Julien Boivent, si distanzia dal libro prima di tutto riportando la vicenda nella piccola borghesia della provincia francese di oggi e mette maggiormente in risalto come l’idea di colpevolezza, pur senza prove concrete, possa distruggere la vita di una persona, separandola dal proprio mondo e dal suo stesso matrimonio.
La trama del film è presto detta: la coppia francese di Pierre e Cléa Constant (interpretati in modo superbo da Guillaume Canet e Charlotte Gainsbourg) ospitano per un anno Belle, la figlia di un’amica di Cléa, che vuole entrare nel liceo “George Simenom” (un nome a caso?) dove Pierre insegna matematica. Una sera che Cléa aveva passato a casa di amici, mentre il meno socievole professore correggeva i compiti degli studenti nel suo studio, Belle viene uccisa, strangolata in casa. Inutile dire che l’algido e razionale Pierre sarà l’unico sospettato.
Sua moglie, che possiede un negozio di ottica in centro, è un membro di spicco della comunità, fa parte di associazioni benefiche e vuole adottare un bambino sfortunato proveniente dall’Africa. È una donna calda, fisica, la cui figura che si contrappone all’apatia del marito.
Il sospetto ingiustificato e la colpa sociale sono centrali nel film e diventano persecutori, scalfiscono (ma neanche troppo) la certezza su cui si reggeva la coppia, ma più passa il tempo più nella mente di lui affiorano dei dubbi che mescolano la realtà al desiderio.
Quando Pierre sarà scagionato da un giudice – e non si capisce bene perché non avendo ancora trovato il vero colpevole – e riabilitato nel sociale, sembra che inizi finalmente a vivere e a frequentare bar e luoghi dove normalmente si fanno gli incontri e che lui, a tutt’oggi, aveva sempre evitato. Una di queste sere incontra casualmente Aurélie, la procace stenografa della giudice, e sembra nascere un rapporto (vero o desiderato?). Ma nel momento del bacio, quale preambolo dell’amplesso, la mano di lui sul collo di lei che chiede «stringi forte» lui si blocca: Pierre freddamente la riaccompagna a casa. Forse lei era affascinata dalla morbosità di stare con un assassino?
Guillaume Canet interpreta Pierre con un misto di fragilità e ambiguità così come Charlotte Gainsbourg interpreta la moglie devota ma pure lei molto vicino alla frantumazione di ogni certezza.
L’aspetto visivo è particolarmente accurato grazie alla fotografia di Caroline Champetier: un’atmosfera autunnale, con gli alberi spoglianti e luci soffuse, è la cornice adatta al racconto che oscilla fra l’ordinario e l’eccezionale, fra la colpa e l’innocenza.