Pubblicato sul manifesto il 31 dicembre 2024 –
Siamo all’ultimo giorno di questo inquietante 2024. Il mio augurio si esaurisce in questo: che da qualche parte risorga una capacità radicalmente critica rivolta a un modo di vivere – diciamo per brevità dominato da un sistema materiale e simbolico detto capitalismo – che appare sempre più disumano, ingiusto, orribilmente violento. Terribilmente scisso tra una minoranza di uomini (generalmente proprio maschi) con ricchezze spropositate e poteri enormi, e una maggioranza che ha poco denaro e poco potere, per non parlare delle vastissime minoranze che fanno fatica a sopravvivere, e spesso soccombono.
Anche alcuni che non hanno mai dubitato delle magnifiche sorti e progressive di un connubio, squisitamente occidentale, tra capitalismo e liberalismo, sembrano accorgersi che questa faccenda non funziona. E anche che ha dato il meglio di sé, vedi caso, quando doveva fronteggiare l’avversario del socialismo e del comunismo in via di “realizzazione”.
Basta leggersi l’editoriale, domenica su Repubblica, di Ezio Mauro sulla “tecnodestra” rappresentata da Musk, e l’intervista ieri, sempre su Repubblica, di Michael Walzer, considerato da molti il maggiore intellettuale liberal americano.
La nostra grande tragedia è che quella alternativa al capitalismo, pur ricca di intenzioni sacrosante, e di eroismi proletari, lo era anche di sciagurati fraintendimenti teorici e di terrificanti conseguenze operative.
Ad aver voglia di scherzare, viene in mente la battuta di Corrado Guzzanti sacerdote di “Quelo”. Diceva, più o meno: “c’è grossa crisi, c’è molta violenza, molto egoismo… ti chiedi il come mai, il come dove nel mondo…miagoli nel buio… ma la risposta è dentro di te… e però è sbagliata!”.
Ma non si tratta di uno scherzo. Bensì di una catastrofe storica che ha finito di compiersi alla fine del secolo scorso. E gli effetti sono ben presenti in questo nostro primo quarto di secolo, e imprevisto inizio di millennio.
Torniamo a Walzer. Conviene e discetta sulla categoria di “tecnodestra”, di cui in qualche modo si augura contraddizioni, il fallimento di un «Frankenstein ideologico» non ancora sicuro di sé. Ma vede che il vero problema è quello di una «sinistra americana annichilita». E non solo americana, aggiungerei. Che fare allora? «Non rassegnarci. Studiare, capire, sviluppare una nuova filosofia ideologica adatta alle sfide del mondo contemporaneo. Questo per me significa ripartire dalla classe lavoratrice, rigettando le divisive politiche identitarie. Ripartendo anche dal sindacato, che non a caso Musk considera uno dei suoi più acerrimi nemici».
Non è sorprendente questo esito classista di un liberale come lui?
Mi aveva sorpreso anche il suo ultimo libro (Che cosa significa essere liberali, 2023, Raffaello Cortina Editore) in cui “liberale” diventa un aggettivo, che assume significato solo se declinato rispetto a altre soggettività, evidentemente più forti e fondate? I democratici, i socialisti, i comunitari, le femministe, gli ebrei liberali…. Forse una sorta di autoanalisi della crisi, oggi evidente, dell’ideologia liberale (da parte di chi, come il nostro saggio e ben intenzionato Bobbio, ha considerato legittime tutte le guerre occidentali combattute in nome della democrazia).
Finisco con le ultime righe che, sempre sulla Repubblica di ieri, a questi temi dedica Carlo Galli. Anche lui si augura «capacità di analisi e di critica… spinta ideale» da parte di tutte le forze democratiche in gara con la «tecnodestra supercapitalista». «E che la politica torni a essere faccenda di uomini (e donne) e non di pretesi, illusi, super-uomini».
Ma quella parentesi non dice molto di quanto ardua resti l’impresa?