Elio Germano oggi è uno degli attori italiani più bravi, andando avanti negli anni ha acquisito sempre maggiori sfumature nei personaggi, non eccede più, interpreta figure più complesse e meno esasperate (come ad esempio Giacomo Leopardi in “Il giovane favoloso” del 2014 o Antonio Ligabue in “Volevo nascondermi “del 2020). Qui interpreta un Enrico Berlinguer – nell’arco di vita tra il 1973 e il 1978 – molto empatico, affettuoso anche in famiglia con la moglie e con i figli. Tenere sono le immagini di lui che porta in bicicletta i figli nella sua amata Stintino. Al di là del titolo del film, è proprio la figura umana del rimpianto segretario del PCI il tema centrale del film di Andrea Segre, che ritrae la storia di un uomo (e di un popolo) per cui vita e politica, privato e collettivo, erano indissolubilmente legati.
I cinque anni raccontati nel film sono stati molto importanti nella storia italiana: l’espandersi del Partito Comunista Italiano, il suo autonomizzarsi dall’Unione Sovietica, il progetto del compromesso storico parallelamente al dilagare del dissenso armato che porterà all’estrema conseguenza del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro. L’Italia degli anni ’70 è ben diversa di quella di oggi: le battaglie politiche, il progetto sociale e la ricerca di un’identità di un Paese che voleva farsi carico del proprio futuro, erano vissuti con grande intensità e partecipazione. Una classe politica istruita che molti oggi rimpiangono – «La posso chiamare Enrico?» chiede Moro nel primo incontro con Berlinguer. Il regista nel film usa molte citazioni tratte dai discorsi di Enrico Berlinguer che mantengono una prosa che oggi suona del tutto inattuale, una fra tutte: «Il comunismo è a favore della difesa di tutte le libertà tranne una: quella di sfruttare il lavoro di altri». Aveva un modo di parlare semplice anche quando esprimeva concetti profondi o difficili.
Le immagini di repertorio – Andrea Segre è un bravissimo documentarista – e le ricostruzioni si fondono molto bene restituendoci un periodo storico forse un po’ dimenticato. Un dato negativo che emerge è l’assenza totale di donne all’interno della classe politica (a parte Nilde Jotti nella battaglia per il divorzio). Un altro dato tralasciato nel film è che Berlinguer non fu mai molto tenero nei confronti della sinistra extra-parlamentare, che però rappresentava forse la parte più innovativa della sinistra italiana di quegli anni.
Sono passati quarant’anni dalla morte prematura di Berlinguer – aveva 62 anni ed era a Padova per un comizio – e al cui funerale parteciparono più di un milione e mezzo di persone e le cui immagini di repertorio fanno venire i brividi a chi non è stato un fanatico berlingueriano.
La prima parte del film è molto avvincente, mentre il finale mi è sembrato un po’ troppo sintetico e affrettato, forse perché sul caso Moro abbiamo visto recentemente “Esterno notte” il duplice film di Marco Bellocchio del 2022, ritrasmesso in serie televisiva.
Comunque Andrea Segre ha fatto un ottimo lavoro e credo sia importante (e utile) che il suo film “Berlinguer – La grande ambizione”, sia visto dai più giovani post ideologici che non hanno conosciuto un periodo di impegno politico in cui si pensava di poter incidere sulla la realtà fino a cambiare il mondo.