Pubblicato su manifesto il 26 novembre 2024 –
Questa non è una recensione. Ma la soddisfazione della curiosità di leggere il racconto del figlio di una amica. Corre tra genitori che hanno qualcosa in comune, come il tantissimo tempo passato nella passione politica, con la preoccupazione costante – e il senso di colpa – per il tantissimo tempo sottratto allo scambio con i figli, con le persone a cui si vuole più bene.
Ho scoperto, di Enrico, trentenne che non conosco, la scrittura ricca e elegante, e il coraggio di parlare di sé. Della volontà di venire a capo della continua minaccia per la presenza nel petto e nei pensieri, di un “ordigno” pronto a esplodere. Ansia e panico. Frequenti attacchi. Fino a quello «più forte della mia vita», una notte di agosto del 2022. «Pensavo di aver acquisito la capacità di tenerla sotto controllo», sono le prime righe del libro Il diario delle cose semplici (Harpo 2024). Invece quell’esplosione di ansia durata tre «interminabili» giorni ha prodotto l’esigenza più consapevole «di trovare un senso alla mia vita».
Una “malattia” considerata frutto del vivere sbagliato che viene imputato senza dubbi al regime totalitario capitalista in cui ci capita di vivere. (E per la mia generazione questo esito non è privo di interrogativi sugli errori vissuti). Il “diario” è dedicato a «tutti i trentenni inquieti» ed è ricco di osservazioni critiche e ironiche sul rapporto col tempo, con il lavoro, con le nostre protesi comunicazionali. Un mondo nel quale «gran parte delle relazioni quotidiane sono degenerate in squallidi rapporti di scambio tra soggetti di prestazioni».
Lo si sperimenta nella vacuità dei discorsi nel frastuono davanti all’aperitivo, come nelle resistenze che oppone la murocrazia, ovvero la burocrazia punitiva che le istituzioni politiche (anche se amministrate dalla sinistra) oppongono a progetti di intervento culturale – è questo il lavoro che si è scelto Enrico, dopo aver studiato filosofia e musica – che non rispondano al mainstream consumistico e “promozionale”, ma all’idea di cambiare in meglio la fruizione di un territorio urbano abbandonato.
Il diario però e anche, e soprattutto, il resoconto dei rapporti più intensi di amore, di amicizia, familiari, attraverso i quali matura il carattere di chi annota date, esperienze, pensieri, sentimenti oscillanti.
Molto spazio se lo prende la relazione di amore con Bianca. Fatta di convivenza, grande vicinanza, passione, ma poi di crisi e di allontanamento. Con una autoanalisi che suona sincera sui difetti molto pronunciati del proprio comportamento viziato dal maschilismo.
Racconti più sintetici, ma assolutamente centrali, sono i colloqui col padre e la madre.
Un uomo intelligente e colto, anche lui appassionato alla politica, capace di fare da giovane un passo indietro per accompagnare la carriera politica della moglie. E di convivere con grande forza un handicap del suo corpo. Comportamenti che contano molto nella formazione del figlio.
L’incontro con la madre, alla fine del libro, subito dopo l’attacco di panico più grave, è un ritrovamento e riconoscimento dopo anni di assenza e sensi di colpa da un lato, e di scelte implicitamente e esplicitamente polemiche e provocatorie dall’altro. Scelte che però hanno potuto essere compiute liberamente.
Le “piccole cose” evocate nel diario appartengono alla quotidianità più minuta (lavare i piatti, cucinare spaghetti aglio e olio, bere il latte-menta) ma offrono esperienze che toccano la musica di Mahler, la filosofia di Wittengstein o di Marcuse.
Condivido poi molto l’idea che qualcosa di simile a una nuova politica possa venire dal modo in cui Enrico parla dell’esperienza artistica e culturale.