Ritorna la paura della pandemia mentre si allungano ancora lo spettro e la realtà della guerra. Ne usciremo migliori, si disse incautamente di fronte alla malattia globale, che suscitò anche sentimenti e azioni di solidarietà. Che suggeriva riflessioni più esplicite sulle storture del nostro modo di vivere, produrre, avere a che fare con gli altri, le altre, l’altro da noi.
Oggi nessuno si sogna di dire seriamente che la guerra, quella vera, ci renderà migliori.
Si loda l’eroismo della resistenza ucraina, dalla cui vittoria dipenderebbe anche la nostra “salvezza” di fronte al neoimperialismo di Putin. Eppure resta un suono falso nella retorica del mandare armi che non possiamo impugnare “personalmente”, e nemmeno rivolgere direttamente contro il territorio del “nemico”, pena l’esplosione di un conflitto totale e nucleare con incalcolabili conseguenze.
La lotta al “nuovo Zar” comporta poi relazioni pericolose per la credibilità dei famosi “valori” occidentali. “Per arginare russi e cinesi – scriveva ieri sul Corriere della sera Angelo Panebianco – la Nato deve necessariamente trattare con il più infido dei propri membri: l’amico/avversario Erdogan di Turchia”. Si noti la sottigliezza linguistica: Erdogan è un amico-avversario, ben diverso dall’ex amico oggi “nemico” Putin. Bisognerebbe aggiungere che non è il solo “tiranno” in qualche modo “utile”. Biden visita il principe probabilmente assassino saudita, e l’Italia tratta con Al Sisi e simili per le vitali questioni energetiche.
In guerra il nemico ha torto su tutto, è un “altro” che – finche non si stabilisce una qualche tregua, se non una pace vera (tornava a chiederlo, sempre ieri sul Corriere, Sergio Romano) – rappresenta il male assoluto. Nel Pci, per quanto democratico solo “centralisticamente”, avevo imparato che è bene, in politica e nella vita, cercare di vedere il nocciolo di verità nascosto nelle opinioni anche del più distante avversario. Anzi, soprattutto nel confronto con costui la ricerca è necessaria.
Putin dice e fa da anni cose del tutto esecrabili per chi abbia una cultura democratica media, e probabilmente è stata sottovalutata la sua intenzione di far seguire alle parole fatti ancora più gravi e scellerati. Ma dice una cosa sulla quale bisognerebbe riflettere seriamente dalle nostre parti. Non è più concepibile un mondo il cui “ordine” è definito e presidiato da un unico gendarme globale. Il quesito sembra aperto anche nel cuore del gendarme medesimo – gli Stati Uniti d’America – che appare nemmeno più sicuro proprio di quei “valori” che da più di un secolo predica per l’Occidente e non solo.
Non si tratta – come viene stancamente ripetuto – di essere “antiamericani”, ma di concepire un confronto di egemonie la cui posta in gioco non è soltanto l’aggressività delle “autocrazie”, ma anche la logica di un sistema capitalistico peraltro ormai globale, sia pure in diverse declinazioni tra autoritarismi statali, tecnocrazie e poteri oligarchici finanziari e industriali variamente configurati (da una parte e dalle altre).
Gli uomini al potere che pensano di risolvere tutto con la forza militare e la guerra commettono un grave errore e un crimine. Ora guardano con preoccupazione sempre maggiore all’orientamento assai poco entusiasta delle opinioni pubbliche occidentali. Sappiamo che il malessere delle menti è molto aumentato. Non sappiamo ancora se i traumi di questi ultimi anni e giorni, oltre al distacco dalle politiche vecchie e “nuove”, stia facendo maturare pensieri, desideri, comportamenti più consapevoli e avvertiti su tutto ciò che manifestamente non va bene e dovrebbe essere radicalmente mutato.