Provo a dire anch’io qualcosa sul futuro e sull’esistenza stessa di una sinistra. Questo giornale tiene da sempre meritoriamente aperto un confronto. Forse bisognerebbe concentrarsi sul perché in un trentennio – tanto è passato dalla fine del Pci, e per altre connesse vicende, del Psi e del sistema politico della cosiddetta prima Repubblica – non si è riusciti a costruire qualcosa di solido alla sinistra di quel che è seguito al comunismo italiano. Né è ancora chiara la strada di quello stesso seguito, nato dalla incerta fusione di ex comunisti e ex democristiani (con pochi altri di matrice socialista o liberale). Lo testimoniano, con punti di vista diversi, gli ultimi tre articoli di Alfonso Gianni, Antonio Floridia e Simone Bertoli.
Credo che ciò derivi dalla estrema difficoltà di elaborare o trovare da qualche parte un pensiero radicalmente nuovo. Capace di superare la catastrofe che non è stata tanto la fine del Pci – direi un epifenomeno – quanto il fallimento dell’alternativa al capitalismo aperta dalla rivoluzione sovietica e – tema molto controverso – di gran parte dell’architettura di pensiero che aveva retto quel tentativo.
Ieri a una riunione dell’Associazione per il rinnovamento della sinistra Aldo Tortorella ripeteva l’esigenza di trovare nuovi fondamenti alla visione critica di una sinistra da reinventare. Non si tratta “soltanto” di inventare nuove teorie e categorie di analisi, ma di capire a fondo che cosa determina nella testa di tante persone la deriva a destra che vediamo dilagare un po’ in tutto il mondo. Molto attratto da un lato dal trumpismo, dall’altro dall’autoritarismo capital-comunista di Xi. Indagini recenti confermano che gli strati popolari e operai in Italia si rivolgono alla Lega e a Fratelli d’Italia, e solo dopo al Pd. È una verità nota. Ma quanto indagata seriamente, con cervello e cuore?
Si tratterebbe di unire la ricerca teoricamente riattrezzata a una pratica politica di vicinanza e solidarietà concreta con chi se la passa peggio. Tortorella citava l’esempio della città austriaca di Graz, seconda dopo Vienna, dove ha vinto nelle elezioni comunali del settembre scorso un partito “comunista”, eleggendo una sindaca: il successo sembra dovuto soprattutto alle concrete iniziative di sostegno di questa formazione verso gli strati più disagiati della popolazione.
Un amico, uomo importante nella Chiesa cattolica italiana, mi ha fatto gli auguri per l’onomastico. Ricorrenza che avevo sempre trascurato. Il santo che si festeggia il 15 novembre è quell’Alberto Magno che con il discepolo Tommaso D’Aquino introdusse nella cultura cristiana la razionalità di Aristotele e la passione per la scienza. Sant’Alberto, come (quasi) tutti i domenicani – e naturalmente i francescani – praticava una povertà integrale e non faceva che viaggiare a piedi per conoscere il popolo che doveva curare come vescovo, mentre scriveva una specie di enciclopedia universale del sapere del suo tempo.
Purtroppo non credo esista qualche Aristotele da riscoprire. E vivere in povertà, per chi non è povero, è difficile. Si potrebbe provare, però, a costruire degli archivi per ripensare la nostra storia, e a sperimentare laboratori di ricerca nei famosi “territori”. Provando a impegnare qualcuno dei e delle giovani più intelligenti che sembrano restarsene ben lontano da ciò che chiamiamo politica. E mettendo a frutto le uniche novità che vedo, certo da dilettante, quanto al pensare e agire criticamente: la rivoluzione del femminismo e le rivoluzioni scientifiche (e forse quelle artistiche). Non si tratta solo di studiare, ma di cambiare modo di vivere e di pensare.
Anche questo è molto difficile.