Pubblicato sul manifesto il 9 novembre 2021 –
Ho visto solo su questo giornale (certo, non che abbia letto proprio tutti gli altri) segnalato il divertente (?) lapsus grafico-istituzionale in una slide del ministero dell’economia in cui al vertice della “governance” del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) è rappresentato il presidente del Consiglio con una piccola icona, la cui testolina è sormontata da una corona. Un Draghi “Più monarca, di fatto, che presidente”, osservava Andrea Fabozzi.
Lapsus, come sanno molti, è il participio passato del latino labi, scivolare, cadere, ma anche ingannarsi, sbagliare ecc. Un errore, o quantomeno cosa inopportuna, che – diciamo così – “ci scappa” e produce qualche danno o imbarazzo. Dopo Freud e Lacan si pensa facilmente all’opaco incombere dell’inconscio.
In questo caso l’inconscio di chi? Del grafico che ha scelto o disegnato l’icona? Del dirigente che ha approvato le slide pensate per rendere più comprensibile il complicatissimo Pnrr? O si è trattato di una scelta automatica, buro-macchinica, governata da una intelligenza artificiale non sappiamo se dotata di opinioni e di inconsci propri. O forse contagiata da un certo sentimento di ossequio all’attuale capo del governo che – facciamo l’ipotesi – aleggia negli uffici ministeriali?
A quanto pare non solo in quelle austere stanze. Non starò a riraccontare l’ipotesi di soluzione del dilemma “chi farà il Presidente dopo Mattarella?” avanzato nei giorni scorsi dal ministro leghista Giorgetti (che passa per quello buono della compagnia): eleggere Draghi ma senza interrompere la legislatura. A capo del governo andrebbe qualcuno di sua fiducia e dal più alto Colle lui continuerebbe a garantire che tutto vada per il meglio. Sarebbe un “semipresidenzialismo” di fatto. Persino il nuovo capo (fino a un certo punto) dei 5 Stelle Conte si è lasciato sfuggire un cenno di consenso al pasticcio. Un altro lapsus?
Che di una specie di pasticcio si tratti lo ha spiegato giorni fa su La Repubblica il costituzionalista Michele Ainis, giungendo a ipotizzare – per assurdo ma non troppo – l’imbarazzante scenario in cui Draghi si dimette nelle mani di se stesso, nel frattempo eletto alla carica quirinalizia, dalla quale contemporaneamente deve dare l’incarico al nuovo premier…. Una specie di autoingorgo istituzionale.
Mi è venuta in mente una semplice domanda. Ma non sarebbe ormai quasi venuta l’ora in cui lo stesso Draghi pronunciasse una parola definitiva? Da qualche parte (sul Foglio, se ricordo bene) ho letto uno di quei retroscena in cui si racconta che il premier avrebbe detto ai suoi collaboratori molto ansiosi su queste importanti prospettive la significativa frase “Non ho ancora deciso cosa fare” (sì, lo ha scritto domenica Simone Canettieri sul Foglio). Quindi al momento non esclude nulla?
E io che avrei scommesso che mai Draghi avrebbe scelto di lasciare il governo che deve fare tutti quei compiti difficilissimi per ottenere i dannatissimi e benedettissimi soldi europei, tanto più ora, dopo le parole assai istituzionalmente spericolate del bravo Giorgetti.
Ancora Ainis, intervistato sull’Huffington Post da Federica Fantozzi ha scherzato un po’ meno: “Nel nostro ordinamento i poteri di indirizzo politico spettano al Parlamento e al governo, non al capo dello Stato. È impossibile eleggere un “super-presidente” senza dichiararlo. Una cosa è la fisarmonica nell’interpretazione delle competenze istituzionali, un’altra è ipotizzare un cambio di regime”.
Draghi potrebbe fugare con una delle sue frasi ultrasintetiche (starei per dire performative) ogni sospetto. Ma si può anche capire che la tentazione di salire infine lassù possa essere stuzzicante.