È passato un secolo esatto da quando nacque la Bauhaus, la scuola d’istruzione artistica che restò aperta solo per quattordici anni, lasciando un segno indelebile che definì un’epoca. È stata la più famosa scuola di design e un emblema del Movimento Moderno. Negli anni che restò aperta cambiò tre direttori (Walter Gropius, Hannes Meyer, e Mies van der Rohe) e tre sedi (Weimer, Dessau e Berlino). Così scrisse Gropius nel momento della sua istituzione, pochi giorni prima di essere nominato Direttore: «Tutti noi architetti, scultori, pittori, dobbiamo rivolgerci al mestiere. L’arte non è una professione. Non c’è alcuna differenza essenziale tra l’artista e l’artigiano, l’artista è una elevazione dell’artigiano».
L’idea di base era quella di formare una nuova classe di artigiani-artisti, unendo la ricerca della forma estetica alla funzionalità pratica, sfruttando anche industria e tecnologia all’insegna della “interdisciplinarietà”. Alla Bauhaus si studiava ceramica, decorazione del vetro, teatro, falegnameria, tipografia ma – tranne che per un brevissimo periodo – non c’erano corsi di storia dell’arte, perché non si voleva influenzare gli studenti con esempi del passato. Tra i vari grandi artisti che hanno insegnato alla Bauhaus ci furono, tra gli altri, anche Paul Klee, Wassily Kandinsky, Làzlò Moholy-Nagy e Oskar Schlemmer.
In occasione del centenario, il Festival dei due Mondi di Spoleto quest’anno, ha voluto presentare un omaggio inserendo, nei suoi spettacoli “Il balletto triadico” di Schlemmer curato da Franco Laera, direttore artistico di Change Performing Arts, con l’AKADEMIE DER KUNSTE BERLIN e BAUHAUS100JAHRE. La ricostruzione coreografica è stata curata da Gerhard Bohner (edizione del 1977) e la ricostruzione dei costumi di Ulrike Dietrich. La direzione artistica è di Ivan Liška e Colleen Scott. La musica è di Hans-Joachim Hespos, un compositore tedesco di musica d’avanguardia che, oltre a pezzi per strumenti solisti non accompagnati (in particolare il violoncello solista) ha composto molte opere teatrali.
Oskar Schlemmer (1888 -1943) oltre a essere pittore e designer si è cimentato nella danza a partire dai costumi, da cui si sviluppa la “geometria della scena danzata”. Il corpo del ballerino deve adattarsi necessariamente all’astrattezza e alla rigidità del costume stesso ed è quindi il mezzo che permette di abbandonare la narrazione emotiva o naturalistica e assumere una ragione “costruttiva e formale” e non più e non solo, “decorativa”.
La “danza delle geometrie”, e cioè il “balletto triadico”, è da considerarsi una forma particolare di spettacolo in cui i ballerini eseguono movimenti precisi ed essenziali – quasi robotici – abbigliati con vestiti ingombranti e geometrici. Così da una conversazione del 1928 con l’autore: «Come si comportano i ballerini con questi costumi? È ancora possibile danzare con essi? Si comportano in vario modo. Gli uni, il cui ideale è rappresentato alla libera danza come mezzo di espressione immediata, rifiutano nettamente questi costumi “innaturali”. Dopo i primi salti avrebbero già distrutto il costume. Gli altri vi intravedono nuove possibilità per oltrepassare i limiti del puro movimento del corpo. Non è facile danzare con questi costumi, anzi credo che richieda un alto grado di disciplina corporea, in modo da fondere corpo e costume in un’unica unità».
La primissima idea del balletto è precedente – a cavallo della prima guerra mondiale nella seconda metà degli anni dieci -, mentre quella ufficiale è del 1922 ed è considerata una delle punte più alte e significative della fase progettuale del Bauhaus. Schlemmer concepì l’opera come una corrispondenza “matematica” e “proporzionale” tra uomo e spazio, con un ritmo che doveva servire a un’ideale “riunificazione con il cosmo”.
«La prima rappresentazione del Balletto triadico – scrive Marina Bistolfi in Oskar Schlemmer, Scritti sul teatro, Feltrinelli, 1981 – ha luogo il 30 settembre 1922 al Landestheater di Stoccarda. La struttura del balletto è fondata sulla triade, l’accordo dei tre, poiché in questo numero l’egoismo dell’uno e la contrapposizione dualistica vengono superati per far posto al collettivo; l’uno il due e il tre si alternano e fondono: tre sono i danzatori, una donna e due uomini, tre le sezioni del balletto composto da dodici danze eseguite da diciotto costumi: di tre elementi si compongono i raggruppamenti formali: forma colore, spazio, altezza».
Ancora Oskar Schlemmer nel 1925: «La scena come luogo dell’evento temporaneo offre il movimento della forma e del colore: in primo luogo nella sua configurazione primaria, come forme in moto (cromatiche o meno, lineari, di superficie ovvero plastiche), spazio e quadri architettonici convertibili. Il palcoscenico visuale assoluto consisterebbe – in teoria – in un simile, caleidoscopico gioco variabile all’infinito, ordinato secondo una successione regolare. L’uomo, l’elemento animato, verrebbe bandito dall’ambito visuale di un tale organismo meccanico. Egli si troverebbe invece come “manovratore totale”, al quadro comandi della centrale, dal quale governerebbe la festa dell’occhio».
Un esempio di danza contemporanea diametralmente opposta è quella dei Momix, dove il movimento dei corpi è di matrice circense e il corpo dei danzatori viene esaltato. Nel balletto di Schlemmer il movimento è astratto, robotico, anaffettivo, mentre il corpo è occultato, quasi negato. La natura sembra ispirare i Momix mentre è la geometria a ispirare Schlemmer. A mio avviso, il “balletto triadico” – per il movimento più meccanico e talvolta a scatti – più che alla danza, può essere avvicinato al metodo Feldenkrais, usato di base da molti balletti israeliani. Spero comunque che in futuro mettano in scena più spesso questo fantastico balletto di Schlemmer, senza dover aspettare gli anniversari importanti, perché trovo sia di una modernità estremamente attuale.