Pubblicato sul manifesto dell’11 giugno 2019 –
Grazie all’avviso via whatsapp di un amica che suona il sassofono e il pianoforte non mi sono perso domenica sera il lungo programma sui Rai3 di Ezio Bosso Che storia è la musica. Conoscevo il musicista Bosso solo di fama, e la passione con cui ha spiegato, smontato e diretto la quinta e la settima sinfonia di Beethoven è stata una sorpresa molto bella. Con l’omaggio-intermezzo del preludio della Traviata, tributo dovuto giacchè la trasmissione-concerto avveniva nel piccolo delizioso teatro Verdi di Busseto.
Bosso ha scherzato sul proprio cognome, che richiama la pianta forse all’origine del nome del paese natale di Verdi, e si è intrattenuto con vari ospiti, da Enrico Mentana a Gino Strada, Luca Bizzarri, Roby Facchinetti, altre e altri. Tutti un po’ intimoriti oltre che ammirati, invitati a sedersi accanto al direttore che agitava ampiamente braccia, mani e bacchetta davanti ai musicisti dell’Orchestra dell’Europa Filarmonica, presentati quasi a uno a uno.
Bosso ha definito “pacifista” la settima sinfonia, la cui prima esecuzione avvenne l’8 dicembre nel 1813 a Vienna in un concerto di beneficenza a favore delle vedove dei caduti nella battaglia di Hanau e dei giovani tornati mutilati. I tedeschi e i loro alleati inseguivano Napoleone che si ritirava dopo aver perso duramente a Lipsia. Ma a Hanau i francesi ebbero la meglio, infliggendo pesanti perdite ai loro inseguitori.
Il “pacifismo” della settima va forse cercato soprattutto nella cantabilità a tratti “celestiale”, sostenuta da un ritmo sempre più incalzante fino ai trionfi del finale e da nuovissime soluzioni estetiche che – come ha raccontato Bosso – “inorridirono” alcuni contemporanei. Ma il pubblico presente alla “prima” apprezzò molto quest’opera, chiedendo il “bis” del meraviglioso secondo tempo.
La storia e l’arte sono però contraddittorie. Nello stesso concerto di quell’8 dicembre 1813, oltre alla settima e ad altre musiche, fu eseguita anche un’altra quasi-sinfonia di Beethoven, la Vittoria di Wellington: pezzo che celebrava la battaglia vinta dal generale inglese, sempre contro i francesi, in Spagna, nella località di Vitoria. Qui non udiamo le melodie e le armonie che affascinarono Berlioz, o i ritmi che entusiasmarono Wagner, ma un susseguirsi di rulli di tamburo, squilli di tromba, mentre gli archi e gli ottoni di due orchestre si fondono con la riproduzione di scariche di fucileria e colpi di cannone. Le cronache dell’epoca raccontano che i più noti musicisti che erano a Vienna parteciparono all’esecuzione “militare”, a cominciare da quell’Antonio Salieri (che il mito – raccolto da Puskin – vorrebbe assassino di Mozart) che fu maestro di Beethoven. Il successo fu travolgente e contribuì non poco alla maggiore fama del compositore.
Si sa che l’autore della sinfonia Eroica, inizialmente dedicata a Napoleone, si era infiammato alle idee di libertà che venivano dalla Rivoluzione francese, ma aveva rapidamente cambiato parere di fronte al cesarismo di Bonaparte. Fino a comporre, oltre alla rumorosa Vittoria di Wellington, musiche ancora più retoriche in occasione del Congresso di Vienna e delle feste con teste coronate che lo accompagnarono.
In mezzo però a capolavori come la settima e l’ottava sinfonia, o il Fidelio. Chissà che il compositore non mescolasse col patriottismo anche un po’ di “strategia di mercato”…
Non intendo però contraddire il maestro Bosso. La musica di Beethoven ispira senz’altro i sentimenti migliori, e rende vera e viva – come si è visto e ascoltato domenica sera – l’affermazione che un’orchestra può rappresentare il modello di una “società ideale”.
E che la Rai ci riprovi.