MA LOUTE – Film di Bruno Dumont. Con Fabrice Luchini, Juliette Binoche, Valeria Bruni Tedeschi, Jean-Luc Vincent, Didier Desprès, Brandon Lavieville, Ralph –
Ma Loute è un grottesco film corale ambientato nel 1910, sulla Cote d’Opale del Passo di Calais.
La nobile e ricca famiglia Van Peteghem de Tourcoing – una delle agglomerazioni urbane di Lille – va lì ogni anno a passare le vacanze in una villa in stile egiziano-tolemaico – come precisa lo stesso proprietario – situata sulla cima di una collina con vista mozzafiato della Baia de la Slack con le sue falesie e il suo Parc des Huitre. Si incrocia con la “indigena” e proletaria famiglia Brefòrt, i cui membri sono raccoglitori di cozze, traghettatori della baia e mangiatori di esseri umani (cannibali?!), che vive nel rione povero di San Michel. Ma Loute è il loro figlio più grande, riservato e di poche parole, e ha il volto intenso di Brandon Lavieville.
Per contro, la famiglia Van Peteghem, è costituita dallo snob André (il sempre bravo Fabrice Luchini), da sua moglie Isabelle apparentemente svampita (l’esperta nel ruolo Valeria Bruni Tedeschi), dall’eccentrica sorella Aude (un’inusuale Juliette Binoche), da Christian (Jean-Luc Vincent), uno strano cugino/cognato e dalla enigmatica nipote Billie (Ralph) che ama le trasformazioni. La famiglia passa pigramente le sue giornate: Isabelle dirige la domestica restia ad apprendere tutte le convenzioni borghesi, mentre la maggior occupazione di André è versare e offrire aperitivi in giardino. Unico sport praticato lungo le enormi spiagge, è il carro a vela, antenato terrestre dei nostri attuali windsurf.
La recitazione degli attori di un cast d’eccezione, è volutamente sopra le righe, caricaturale, specialmente per ciò che riguarda i membri della famiglia Van Peteghem, intenzionalmente presi in giro anche nei loro segreti più occulti.
Tra Ma Loute e Billie nasce un sentimento intenso che, data la differenza abissale dei due mondi, costituisce una sorta di Romeo e Giulietta, che però avrà un epilogo diverso poiché Ma Loute non riuscirà a comprendere le ambiguità sessuali di Billie. Molto bella è la scena del loro salvataggio in mare, suggerita probabilmente da qualche pittore romantico.
La situazione protocapitalista agli albori del XX secolo e la lampante differenza di status sociale annunciano il successivo scontro di classe che connoterà buona parte del “secolo breve”. Anche la presenza di un campo nudista e gli stessi trasformismi di Billie anticipano alcune tematiche che diventeranno centrali nelle battaglie novecentesche.
Sembrerebbe strano usare il digitale per un film retrò, ma le ambientazioni naturali e il modo di trattare le persone come aquiloni, sono piuttosto suggestive. Molti sono i riferimenti linguistici del regista Bruno Domont: quello a Magritte è palese nel tipo di luce e nell’uomo con bombetta vestito di nero che, nel finale, vola nei cieli plumbei. Oliver Hardy e Stan Laurel sono esplicitamente citati dall’accoppiata del pingue commissario di polizia e del suo segaligno assistente, che insieme indagano sulle numerose misteriosi sparizioni. Si può riscontrare nel film anche un legame con un certo cinema tragico-grottesco franco-belga come, ad esempio, quello di Olias Barco di Kill me please del 2010.
Il regista Bruno Dumont, già vincitore di premi a Cannes (L’Umanità del 1999, Flandres del 2006 e Hadewijch del 2009) in questo film si cimenta con un genere nuovo esprimendosi con un linguaggio surrealista-demenziale, ma non tradendo mai un certo piacere realista nell’impatto visivo di alcune scene truculente.