Pubblicato sul manifesto il 19 aprile 2016 –
Chi ascolta la musica classica probabilmente sa che Robert Schumann aveva amato e sposato una bravissima pianista e compositrice che si chiamava Clara Wieck. Se non altro perchè alcune composizioni di Robert elaborano temi musicali composti da Clara. Già è meno facile imbattersi nel nome e nelle composizioni di Fanny Mendelssohn, sorella maggiore del molto più celebre Felix, che le era affezionato e che sostenne ( fino a un certo punto…) la sua vocazione artistica, salvo meravigliarsi molto del fatto che la sorella pretendesse di continuare a suonare e a comporre anche mentre si prendeva cura di un figlio appena nato. E Fanny scelse di fare uno strappo verso il fratello e verso il padre quando decise di pubblicare a proprio nome la sua musica, un gesto che appariva sconveniente a metà dell’800 anche in una famiglia della borghesia europea colta e cosmopolita come quella dei Mendelssohn.
In realtà c’è una secolare storia di compositrici note e affermate al loro tempo e nei loro ambienti sociali e culturali che è stata coperta da una grande ombra che solo negli ultimi decenni, grazie alla spinta della rivoluzione femminile e femminista, ha cominciato a essere illuminata. Un nuovo momento di luce su questa storia rimossa è stata nel fine settimana la terza edizione del festival “Le Compositrici”, organizzata a Roma dalla Scuola popolare di musica di Testaccio, in collaborazione con l’Università Roma Tre, l’Associazione italiana di toponomastica femminile e il teatro Palladium, dove si sono svolte due giornate di concerti, spettacoli e mostre.
Il programma ha attraversato effettivamente molti secoli : dalla figura di Kassia, sacerdotessa bizantina – amata a quanto si tramanda dall’imperatore Teofilo, che però rinunciò a sposarla perchè non ne resse la troppo forte (per lui) personalità – alla quale si devono inni tuttora cantati nella liturgia ortodossa, alla teologa e musicista medievale Ildegarda di Bingen, fino alle americane contemporanee (Elisenda Fabregas e Carla Bley, solo per fare due nomi in tendenze espressive molto diverse ), passando attraverso molte autrici rinascimentali e barocche, soprattutto italiane, e figure tra otto e novecento originali come Mélanie Bonis (che si firmava Mel anche per dissimulare l’appartenenza al suo sesso) e Cécile Chaminade.
“La storia delle musiciste – scrivono Orietta Caianiello, Milena Gammaitoni e Francesca Pellegrini, curatrici con Andrea Fossà e Luca Aversani dell’iniziativa – è l’indicatore di una identità sociale cancellata dalla storiografia affermatasi nell’Europa dell’800″. Una censura così efficace che ancora nel 1920 Sir Thomas Beecham, famoso direttore e compositore, poteva affermare che ” non ci sono donne compositrici, non ci sono state e non ci saranno mai”. Eppure fu proprio nella sua Inghilterra che nei decenni precedenti il movimento suffragista, grazie anche a figure come la musicista e militante Ethel Smyth, denunciò con efficacia il maschilismo delle società musicali : un’ onda lunga – scrivono ancora le curatrici – che ” attraversò l’Europa musicale e sconfinò oltre oceano” alimentando un “circolo virtuoso di discenti e docenti donne”. Nè si tratta solo di un ingresso alla pari nei saloni di un’accademia vietata. Nella giornata di studio che ha preceduto a Roma Tre concerti e spettacoli si è parlato anche di come ” il senso della differenza tra i sessi cambia il nostro modo di pensare e fare musica” (Claudio Vedovati). E nel testo delle curatrici non manca una citazione di Carla Lonzi: ” La donna non ha contrapposto alle costruzioni dell’uomo se non la sua dimensione esistenziale: non ha avuto condottieri… Ma ha avuto energia, pensiero,coraggio, dedizione,attenzione, senso, follia”.