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Il Nobel 2015 a Svetlana Aleksievic. La fine dell’Urss nelle voci degli altri

9 Ottobre 2015
di Bia Sarasini

Unknown-12Un Nobel col botto, quello assegnato dall’Accademia di Stoccolma alla scrittrice bielorussa Svetlana Aleksievic. Mentre il mondo letterario cercava di capire chi era questa autrice sconosciuta, sia pure tradotta in 20 lingue, e perché era stata preferita a tanti illustri candidati, a cominciare da Philip Roth, nelle polemiche letterarie ha fatto irruzione la politica. E quale politica. Non solo Svetlana Aleksievic ha detto, come già nel passato, che a lei non piacciono «né Stalin né Putin», ma è entrata nel vivo dell’attualità. «È un’occupazione, un’invasione straniera», ha detto a proposito dell’intervento russo in Ucraina, lei, che è di madre ucraina e padre bielorusso. E se queste sono le nette posizioni di una scrittrice che in passato ha reso omaggio alle vittime ucraine della piazza, del maidan, è stato il Cremlino a dare alle sue parole lo statuto di un caso internazionale: «Probabilmente Svetlana non possiede tutte le informazioni necessarie per dare una valutazione positiva di ciò che sta accadendo in Ucraina», ha commentato Dmitri Peskov, portavoce di Putin. Così la sorpresa di Stoccolma si ammanta di giallo. È un segnale politico, nel complesso quadro internazionale?

In ogni caso sarebbe un peccato che l’emergenza politica ne cancellasse l’opera. La motivazione del premio è chiara: per «i suoi scritti polifonici, un monumento al coraggio e alla sofferenza nel nostro tempo». E la Segretaria permanente dell’Accademia svedese, Sara Danius, ha detto: «Il riconoscimento non è solo alla materia, ma anche al modo del raccontare».

I libri di Svetlana Aleksievic sono infatti basati su un lavoro di ricerca e di intervista. Migliaia di interviste. Infatti scrivere un libro, dice, «mi prende fino a dieci anni». Poi tutte quelle voci vengono messe insieme a comporre un racconto plurale, sempre visto dal basso. Le sue non sono il genere di interviste che hanno reso famosa Oriana Fallaci, gli incontri a tu per tu con i grandi della terra. Svetlana intervista le persone che nel vivere la loro vita quotidiana, si trovano a essere immerse nella grande storia. Che subiscono, e di cui pure sono attivamente parte. In ogni caso i suoi libri, da “Preghiera per Chernobyl”, a “I ragazzi di zinco” e “Incantati dalla morte”, tutti pubblicati dalle Edizioni E/O che l’hanno introdotta in Italia, fino a “Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo” pubblicato quest’anno da Bompiani, sono lontanissimi dalla cronaca. Anche se sono rigorosamente non-fiction, cioè raccontano fatti veri, documentati. L’impasto della voci, insieme alla sua scrittura, ha del miracoloso. Quando nei “I ragazzi di Zinco”, per esempio, fa parlare i giovani soldati reduci dalla guerra in Afghanistan, e le loro madri, ne viene fuori una narrazione inedita, che non assomiglia a niente di quello che è stato detto di quella guerra e di quei soldati. Un libro per cui è stata accusata di disfattismo, portata in tribunale, e salvata dalla mobilitazione di intellettuali e di organizzazioni per i diritti umani. È una scrittura di confine, tra diversi generi letterari. Chi l’ha letta, non la dimentica. «È accaduto qualcosa per cui ancora non abbiamo né un sistema di rappresentazione, né analogie, né esperienza, al quale non è adeguata né la nostra vista, né il nostro orecchio ed è perfino inadatto il nostro vocabolario. L’intero nostro strumento interiore, che è accordato per vedere, sentire o almeno toccare. Niente di tutto questo è possibile. Vedere, sentire o almeno toccare. Niente di tutto questo è possibile» scrive in “Preghiera per Cernobyl”, per dire la disperazione di fronte al disastro nucleare del 1986.

L’ultimo libro pubblicato in Italia, “Tempo di seconda mano” (Bompiani), è un viaggio dentro la fine dell’Unione Sovietica, come non era mai stata raccontata. Una storia minima, quotidiana, drammatica. Le tanti voci che si intrecciano compongono una storia corale. E autentica. Perché Svetlana conosce l’arte entrare nelle vite degli altri. Li ascolta, ne ascolta i dolori, le sofferenze, le minuscole speranze e gioie. Un’arte che condivide con chi legge i suoi racconti. Indimenticabili. Forse per questo il Cremlino non le ha voluto lasciare l’ultima parola.

l’articolo è stato pubblicato sul Secolo XIX in data odierna

 

 

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