C’è qualcosa di nuovo nella sinistra italiana, anzi di antico. La ricerca di un leader. Cioè di un uomo, ovvero un essere umano di sesso maschile, che ne guidi le sorti. Anche le analisi più attente a quanto succede nell’ampio spazio che si è aperto alla sinistra del Pd, dopo la rottura di Matteo Renzi con il sindacato e il mondo del lavoro culminata nello sciopero generale del 12 dicembre, si incagliano nella denuncia di un’assenza. In Grecia Syriza ha trovato Alexis Tsipras, e in Spagna Podemos si affida a Pablo Iglesias Turiòn. Entrambi carismatici, oltre che «colti, agguerriti sui temi europei, capaci di farsi capire e convincere, esponendo in pubblico in modo accessibile temi complessi», caratteristiche che Luciano Gallino richiede al leader italiano che non c’è. Tutti sarebbero più tranquilli – o preoccupati, dipende dai punti di vista– se, per esempio, Maurizio Landini dicesse con chiarezza che è pronto ad assumersi il ruolo di conducator. E dato che così non è, visto che lui si ostina a dirsi interessato esclusivamente al sindacato, e ancora non è ben chiaro cosa vuole fare Pippo Civati, allora tutto sembra incoerente, frammentario. Come se solo una figura iconica garantisse delle possibilità di riuscita di un’idea.
Eppure le leadership in politica sono un elemento importante della costruzione di orizzonti comuni. E leader non è solo sinonimo di populismo, di totale delega, di venir meno della democrazia. Solo che i – e tanto più le — leader non nascono sotto un cavolo. Anche le persone con le caratteristiche individuali più adatte possono emergere solo all’interno di culture – e soprattutto pratiche politiche – che ne permettano la valorizzazione. Non parlo della singola figura, fin troppo connotata da verticismo nella rappresentazione corrente, mi riferisco alle leadership diffuse, costruite con attenzione, cura, perfino con corsi e seminari di preparazione. E subito si comprende che è proprio questo terreno pazientemente annaffiato che non c’è.
Oggi abbiamo solo scorciatoie. Alimentate da internet. Che nel finto faccia a faccia paritario dei social e delle mailing list fa pensare che qualunque messaggio sia uguale a un altro, che per questa via si annullino le distanze, che basti il balenare di un’idea perché diventi realtà, che un clic online è la vera democrazia, l’azione diretta che salta ogni mediazione. Andrebbero bene analizzate le differenze tra M5Stelle e Podemos, tra un leader paternalista e populista come Grillo, e il progetto colto che ha supportato il movimento spagnolo, creandone di fatto la leadership. Allora, si chiude tutto qui? In fondo, tra il rimpiangere il leader che non c’è, o denunciare la mancanza di semina lungimirante di leadership diffusa, non c’è molto differenza.
Invece un salto è possibile. Perché ci sono le ragazze e i ragazzi, uomini e donne capaci, intelligenti, spint* dalla forza opprimente del neocapitalismo ad assumersi la responsabilità del loro destino.
Perché dell’immaginare una sinistra diversa, che non sia la riproposizione di patti tra ceti politici più o meno rinnovati, fa parte il pensare a una nuova leadership. Di donne, vero segno di cambiamento. Diciamolo, la sinistra fa fatica a riconoscere l’autorità femminile. La destra neutralizza la differenza che le donne portano, ma che accoglie il loro agire come una delle forme dell’indifferenziata libertà individuale. Come una perfomance, che permette di assumere la veste del «contemporaneo». Alla sinistra riesce più difficile, l’idea di uguaglianza rispetto alla differenza delle donne agisce più come un vincolo che come una possibilità. Anche in Europa, le leader sono di destra, vedi Marine Le Pen e anche Angela Merkel. E poi, a parte ogni considerazione politica, c’è l’antropologia: gli italiani – donne e uomini – potrebbero mai affidarsi a una donna, severa o protettiva che sia? Non si può dimenticare che autorità, e ancor di più carisma, hanno a che fare con il corpo. Tsipras e Iglesias sono giovani e belli. Cioè erotici, cioè desiderabili, da donne e uomini. Che, anche escludendo pulsioni omosessuali, possono identificarsi con loro. Un dispositivo che non è facile trasferire su figure femminili, che da sempre sono oggetto del desiderio.
Qual è la strada per un carisma femminile, anche di leadership diffusa e condivisa, cioè non verticistica, se qualunque discorso pubblico sulle donne anche politiche parte sempre dalla bellezza? Matteo Renzi ha scelto di sfidare la sinistra proprio su questo terreno. Un governo paritario, tra uomini e donne. Donne scelte con criterio paternalistico, donne che rivendicano la bellezza come una qualità politica. La sinistra, che fin dagli anni Settanta ha chiuso i rapporti politici con i femminismi, potrebbe ritrovare ora la strada di nuove alleanze. Sarebbe urgente. Anche per trovare nuove leadership.