Pubblichiamo gli appunti di due interventi di Maria Mosca alle recenti riunioni aperte del gruppo delle femministe del mercoledì di Roma, a partire dal documento “La cura del vivere”.
Il bene della città e la partecipazione
Nell’incontro precedente avevo condiviso il fatto che dopo l’esperienza del V. Woolf, mi era sembrato cruciale imparare a prendermi cura meglio di me e degli altri in un orizzonte di cammino interiore e mi era venuto desiderio di prendermi cura della città in cui vivo . Rosetta mi aveva chiesto di dire come queste due esperienze potessero intersecarsi con la riflessione sulla cura che il gruppo del mercoledì ha proposto.
In questa occasione non parlerò della pratica della cura in ambito spirituale ma comunicherò in maniera più diffusa sulla esperienza della cura della città per cercare di capire insieme a voi se c’è una qualche possibile interrelazione.
Prima cercherò di dire qualcosa sugli interventi fatti dalle altre nello stesso incontro.
Innanzi tutto vorrei ringraziare il gruppo del mercoledì per il ribaltamento che ha proposto dal lavoro di cura al concetto di cura inteso come qualità delle relazioni in ogni ambito della vita.
Una rivoluzione rispetto al tipo di relazione predominante, basato prevalentemente sul potere. Tipo di relazione, questo, praticato da moltissimi uomini ma anche da donne e anche nell’ambito del lavoro di cura.
Condivido l’affermazione che le donne hanno un di più di Sapere sulla cura delle relazioni e un di più di Pratica in questo senso.
Sapienza dovuta, come qualcuna ha affermato, all’attenzione alle relazioni data nel femminismo e per avere un corpo di donna.
Se questo di più venga alle donne dalla natura o dalla cultura o da entrambe non possiamo dirlo scientificamente ma ne siamo convinte sulla base delle nostre esperienze. Lo sappiamo e anche io lo so.
E mi sembra una giusta aspirazione quella di agirle politicamente, di renderlo evidente e farlo contare. Questo non è facile ma è possibile.
Nella riunione precedente qualcuna ha parlato di una non comprensione e di una resistenza da parte di molte donne dinanzi alla parola cura perchè evoca immediatamente il lavoro di cura.
Mi sembra quindi necessario esplicitare meglio sia cosa si intende per” cura” sia il “”di più” che attribuiamo alle donne.
Penso sia necessario non solo farlo ma farlo con un linguaggio il più possibile semplice e chiaro.
Sarebbe molto utile continuare a farlo attraverso racconti di donne nell’ambito del lavoro ( come ha cominciato a fare magistralmentre Laura nell’ambito del suo lavoro di architetta), sia nell’ambito della politica seconda.
Qualcuna ha osservato che tutto è stato detto sul lavoro di cura, del passaggio dalla percezione di lavoro caratterizzato da debolezza e subalternità a valorizzazione. Ho aggiunto che non basta valorizzare ma è necessario rovesciare, ribaltare.
Non sarei così sicura che per il fatto di aver detto tantissimo sul lavoro di cura non ci sia ancora tanto da dire.
Penso che sarebbe utile riprenderlo, rivisitarlo magari ponendo l’accento su quanto c’è di cura nel lavoro di cura ma anche quanta mancanza di cura ci sia nell’allevamento nella educazione, nella socializzazione dei figli e delle figlie. Per non parlare della mancanza di cura nelle relazioni all’interno della coppia.
Altre hanno osservato che la cura è stata al centro del pensiero femminista nelle varie generazioni.
Anche rispetto a questo penso sarebbe utile, anzi necessario riprendere, rendere visibile questo lungo e prezioso lavoro.
Mariarosa ha parlato di un libro che distingue tra lavoro domestico, riproduzione ( che comporta la relazione e l’organizzazione) e la cura come di più , concetto considerato di difficile comprensione Mi piacerebbe condividerne la lettura.
Letizia ,raccontando dell’incontro di Milano oltre alla gioia per la vitalità dell’incontro ci ha detto che è riemerso il discorso della dicotomia tra donne di azione e donne di pensiero.
Mi sembra un modo tanto riduttivo e non veritiero di porre la questione. Sembra quasi che le donne di azione agiscano con poco pensiero alle spalle!!
Mi piacerebbe di più dire che ad alcune donne preferiscono agire spostando sul piano materiale,convinte che questo significhi spostare anche sul piano del simbolico.Altre trovano più interessante agire sul piano simbolico convinte, penso, di spostare con questo anche sul piano materiale.
Cosa mi muove verso la cura?
Certamente un senso di solidarietà e di accoglienza delle persone con cui entro in relazione.La comprensione di quello che può essere utile alla loro salute fisica e mentale, la comprensione dei miei limiti e delle mie fragilità. Nella cura ci sono tantissime cose che bisognerà esplicitare. Mi spinge anche, molto, l’amore per il Bello.La cura dei luoghi dove le relazioni avvengono.
Oltre che nella mia casa ,l’ho fatto nei luoghi dove condividevo pratiche collettive. Quando ero nel V.Woolf rendendo accoglienti prima le stanze occupate del Governo Vecchio e poi quelle della futura Casa delle donne che oggi ci ospita grazie alla cura di tante altre donne.
L’ho fatto per la sede dove pratico la meditazione di consapevolezza.
L’ho fatto per rendere meno triste la casa famiglia che ospita una mia nipote.
Lo sto facendo da 10 anni prendendomi cura della bellezza della città dove vivo, combattendo contro il degrado e l’incuria in cui versa.
Nel coordinamento di 18 associazioni che ho contribuito a mettere in piedi, ci occupiamo non solo del decoro ma anche della Vivibilità della città in termini di mobilità, inquinamento acustico e ambientale. Lottiamo contro l’illegalità dilagante anche perché mettono in essere rapporti basati sul potere, sulla prepotenza, sull’individualismo più sfrenato. Insomma prendersi cura dei mali della città e pensare come alleviarli o risolverli.
Ho studiato leggi, decreti, delibere che governano, anzi non governano, la bellezza e il decoro della città . Sono infinite e contraddittorie. Ho dovuto capire quali sono gli interlocutori (municipio, comune, regione, governo, belle arti, soprintendenze, Unesco): tanti e in lotta loro! Competenze che si sovrappongono e si annullano a vicenda. Un vero labirinto. Mettere in chiaro tutto questo, per capire come riorganizzare il tutto e poter quindi fare delle proposte concrete.
Abbiamo anche lavorato per creare una rete con altri gruppi e persone interessate. Abbiamo incontrato gli studenti che non abitano in centro ma studiano nel centro storico e lo frequentano. Tantissime associazioni, Da quella di Altra economia , a quelle che lavorano nelle periferie. Ieri siamo stati contattati dalla facoltà di Architettura che ci ha chiesto di collaborare ad un progetto.
.Vogliamo organizzare ,insieme ad altri gruppi , un grande convegno in cui proporre una Idea di città e del Governo della città. Cose che ora mancano completamente e tutto è dominato da interessi particolari.
Nei gruppi associativi noto una buona capacità di cura delle relazioni anche da parte dei maschi. Ma ho il sospetto che nel lavoro di cura le cose vadano diversamente. Il conflitto è lì!
Un tema che mi sta particolarmente a cuore è quello della Partecipazione. Tema comune a tutte le associazioni con cui siamo entrati in contatto.
L’Ascolto, condizione indispensabiie per qualunque relazione , manca completamente sia da parte delle istituzione sia dei partiti. L’ascolto è nullo. Fatiche di Sisifo per cercare di incontrarli e di impostare un rapporto continuativo con loro . Bugie, giochetti, disinteresse, miopia. E’ stato davvero defatigante e deludente.
Per ottenere qualcosa abbiamo dovuto ricorrere a denunce, ricorsi, impugnative grazie alle competenze di alcuni del gruppo, messe generosamente a disposizione.
Mi chiedo se il tema della Partecipazione, della creazione di modalità partecipative vere, possa interessare questo gruppo.
Penso sarebbe utile fare una riflessione sulla relazione tra cittadine e istituzioni. Queste relazioni sono al momento rese impossibili. Sono inesistenti o pessime, malate.
Creare uno spazio vero, forte,della partecipazione è fondamentale per portare uno spostamento non solo sul piano materiale ma anche uno spostamento culturale grande.
Vorrei chiederlo non solo come ” diritto” ma come possibilità di esercitare una mia Passione.
La qualità delle relazioni
I nostri incontri mi hanno portato, questa settimana, a riflettere su un tema che mi pare importante. LA QUALITA’ DELLA VITA.
A chiedermi con più precisione cosa si intende quando se ne parla e a capire in che modo questo può collegarsi al nostro discorso sulla CURA.
Sono andata a guardarmi quali sono gli indicatori normalmente usati. Ce ne sono tantissimi su aspetti i più vari. Ve li leggo rapidamente perché risulta evidente di come ci si occupi di tutto tranne di ciò che ci sta a cuore: la qualità delle relazioni.
Facendo questa riflessione mi è apparso più chiaro che la qualità della vita significa moltissimo qualità delle relazioni e oserei dire, senza paura di esagerare, che dipende soprattutto da essa.
Mi è apparso in modo più chiaro che relazioni sono veramente la Sostanza della vita.
Ho quindi provato a chiedermi da cosa dipende la qualità delle relazioni e vorrei condividere la prima riflessione che ho fatto per capire se la ritenete di qualche utilità per il lavoro che stiamo facendo ed eventualmente come svilupparla insieme.
Mi è venuto da dire una cosa forse risaputa e banale ma tant’è.
La qualità delle relazioni dipende dalla qualità della comunicazione a tutti i livelli in cui essa si svolge: sul piano personale sociale, politico.
Cosa si vuol dire comunicare?
Si sa, certo, che l’essere umano è un essere comunicativo. Nessun suo comportamento sfugge a questa legge. Agire o non agire, la parola o il silenzio hanno sempre un carattere comunicativo.
Questo vale ovviamente non solo per gli individui ma anche per i gruppi umani.
Dalla comunicazione dipende la vita comune.
Se lo si immagina come un movimento si potrebbe dire che non è un movimento unidirezionale, ma circolare, reciproco e interattivo.
Vuol dire al tempo stesso “donare” nel senso di rendere comune, condiviso da altri quello che si ha ( in termini di tempo, di ascolto, di competenze, di sapere). Ma vuol dire anche disporsi a propria volta a ricevere dall’altro.
Mi sembra anche di poter dire che questo richiede la pratica di due fondamentali virtù l’umiltà e il coraggio. Non vi spaventate! Sono consapevole che questa è un’altra parola che è stata, consumata malamente fin quasi a sparire dal nostro vocabolario ma a me pare tanto importante se intesa giustamente.
L’umiltà e il coraggio della coscienza e dell’ammissione di una mancanza, di un bisogno. Affermare il proprio bisogno dell’altro. Riconoscere che siamo sempre debitori debitrici e dipendenti da altri per la nostra vita.(abbiamo fatto questo nelle relazioni tra donne ogni volta che abbiamo riconosciuto il valore di altre donne, contemporanee o del passato e lo stiamo facendo qui, riconoscendo l’importanza di farlo insieme, donando e ricevendo reciprocamente). Mi è venuta in mente l’osservazione accennata da Letizia nello scorso incontro quando si chiedeva in che modo la cura avesse a che fare con la morte. Richiede la stessa umiltà e lo stesso coraggio nel riconoscere la finitezza, il limite.
Vorrei infine dirvi come ho trasportato questa riflessione che è nata da qui, nella mia pratica nel sociale , nella cura della città di cui vi parlato nell’altra riunione .Forse qualcuna di voi ha letto in questi giorni della vera rivoluzione che sta per essere fatta , anche se fino all’ultimo c’è da temere di nuovo il prevalere di interessi particolari sul bene comune, sul rispetto dl decoro urbano, della bellezza.
Nella riunione che abbiamo avuto con il Municipio, ho potuto ribaltare il principio, il pensiero diffuso tra gli amministratori che si pongono sempre come elargitori. Ho saputo esprimere con più forza che anche loro sono debitori e dipendenti da noi cittadini. Questi risultati non sarebbe stato possibile ottenerli senza una pronta, continua collaborazione tra istituzioni e cittadini. E questo mi ha dato la lucidità di chiedere non solo regole nuove ma di rivendicare la necessità assoluta di organizzare bene la comunicazione tra noi. Come ampliarla, come evitare che diventi sfibrante, come darle priorità assoluta pena l’insignificanza della regole stesse, l’impossibilità di essere davvero custodi della cose che ci stanno a cuore.