Valeria Ottonelli, “La libertà delle donne. Contro il femminismo moralista”, il melangolo, 2011.
Valeria Ottonelli, che insegna Filosofia Politica e Etica Pubblica all’università di Genova, ha scritto un saggio sul “femminismo moralista” esploso in tempi berlusconiani. Si tratta, spiega l’autrice, di una posizione culturale e politica che, in nome della libertà delle donne e della loro “dignità”, assume un atteggiamento sostanzialmente censorio.
Esempi? L’appello di Concita De Gregorio lanciato dalle pagine dell’ ”Unità” ; la distinzione tra donne perbene e permale (nel testo di convocazione per la manifestazione del 13 febbraio 2011 di “Se non ora quando”); il documentario di Lorella Zanardo “Il corpo delle donne”; l’insistenza sui valori familistici e tradizionalisti; la retorica colpevolizzante che circonda le badanti.
Tutti esempi che contengono una parte di verità: gli scandali sessuali dell’ex premier, l’uso osceno del corpo femminile in televisione, hanno fatto scattare un sentimento di “offesa” da parte di molte donne per cui si è tirata in ballo la morale piuttosto che l’analisi sulla sessualità maschile. E il rapporto con il potere. Tuttavia, l’autrice del saggio non riesce a vedere l’altra faccia di questa verità: l’energia, la forza, delle tante scese in piazza grazie alla buona semina del femminismo. Ottonelli si riferisce al femminismo come a qualcosa di bello, di rivoluzionario ma appartenente al tempo che fu. La sensazione che ho avuto dopo aver letto “La libertà delle donne” è che prescinda dalle pratiche politiche, conflitti, differenze al proprio interno del femminismo. Come se domani mattina mi mettessi, all’improvviso, a scrivere del Giro d’Italia in bicicletta senza sapere la differenza tra la carrozza e il veicolo a due ruote.